La metafora si adatta perfettamente al settore delle costruzioni. Ci sono le cosche mafiose da una parte. Tutto il resto sono politici, professionisti, poliziotti infedeli. Per tenerli insieme serve un buon legante: il cemento è perfetto. Perché si porta dietro affari a sei zeri, buoni per compattare settori tanto distanti.
Il rapporto Ecomafie analizza questa saldatura, «che si costruisce con spavalderia attorno agli appalti». E mostra un quadro «nero e preoccupante perché, sempre più spesso, il confine tra ‘ndrangheta e Stato si assottiglia fino a confondersi». Il resto sono indagini, ancora in divenire, e fatti che inquietano e si ripetono a tutte le latitudini calabresi.
SCALEA: TUTTI INSIEME PER GLI APPALTI
A Scalea il consiglio comunale è stato sciolto lo scorso 25 febbraio. Nel Comune del Tirreno cosentino, secondo la Dda di Catanzaro, cosche e politica erano diventate una cosa sola. Sindaco, assessori, consiglieri, tecnici comunali e professionisti andavano a braccetto – questa la tesi dell’accusa – con boss e picciotti. Per i magistrati dell’antimafia, la famiglia di Pietro Valente e quella di Mario Stummo, entrambe legate al boss del pesce di Cetraro, Franco Muto, avevano trovato un accordo per eleggere il sindaco Pasquale Basile, con una lista civica di area Pdl, ottenendo in cambio «il controllo degli appalti del comune di Scalea», scrivono gli investigatori. Il luogo in cui tutto accadeva e tutto veniva deciso era lo studio dell’avvocato Mario Nocito considerato il «collante fra l’amministrazione comunale e i malavitosi». Lo scopo di tanto affanno sarebbe stato scovato dagli investigatori nelle carte del Comune: almeno sette opere pubbliche su cui gli appalti sarebbero stati pilotati. A partire dal grande affare del porto turistico, un’opera da 14 milioni, assegnata dalla precedente amministrazione anch’essa «legata ai Valente» a un’impresa vicina al clan camorristico dei Cesarano di Castellamare di Stabia.
BUSINESS PILOTATI NEL REGGINO
Anche i Bagalà, originari di Gioia Tauro, sono finiti al centro di un’inchiesta – che si è sviluppata in due parti, “Ceralacca” e “Ceralacca 2” – che ha messo nel mirino il sistema di concessione degli appalti. «In pratica – si legge nel rapporto di Legambiente –, a Reggio Calabria (ma con la capacità di intervenire in tutta la regione) avevano messo in piedi un cartello che, secondo gli investigatori, era in grado “di pilotare sistematicamente l’andamento e l’aggiudicazione di numerosi appalti pubblici”, anche quelli della Stazione unica appaltante della provincia di Reggio Calabria o della Sorical Spa, società a partecipazione pubblica regionale». Il sistema era in grado di procurarsi la disponibilità delle buste con le offerte presentate per i singoli bandi e disponeva di «una sorta di “registro delle mazzette”, sul quale venivano riportati minuziosamente nomi, doni e importi utilizzati per corrompere i funzionari coinvolti nella vicenda».
IAMONTE PADRONI DI MELITO
In due anni, tra il 2013 e il 2014, Melito Porto Salvo ha visto finire nei guai i suoi ultimi due sindaci. Giuseppe Iaria, tre volte alla guida del comune, rimasto in carica fino al 2012, è tra le 12 persone coinvolte nell’ultima operazione in cui le accuse sono, a vario titolo, di associazione mafiosa; concorso in illecita concorrenza con minaccia o violenza, aggravata dall’aver favorito un sodalizio di tipo mafioso; concorso in turbata libertà degli incanti, abuso d’ufficio e falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, aggravati dall’aver favorito un sodalizio di tipo mafioso. Anche il successore di Iaria, Gesualdo Costantino, era stato coinvolto lo scorso anno in un’operazione della magistratura che ha determinato lo scioglimento per infiltrazioni mafiose del comune, tuttora commissariato. Due operazioni che hanno «confermato il totale controllo del clan Iamonte su tutti i settori, con particolare riferimento agli appalti per tutti i lavori che doveva realizzare il Comune».
PICCOLI COMUNI NEL MIRINO
Tutto sotto controllo della ‘ndrangheta anche a San Procopio. Nel piccolo centro del Reggino, la polizia ha arrestato, nello scorso settembre, l’ex sindaco Rocco Palermo, due imprenditori e un commerciante che avevano il monopolio degli appalti. Palermo era già stato arrestato nel giugno del 2010 perché ritenuto un uomo di fiducia del boss Cosimo Alvaro. In seguito a quell’arresto, nel dicembre 2010, il comune era stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Opere pubbliche condizionate dalle ‘ndrine per 5,5 milioni di euro sono state al centro di un’altra operazione, questa volta a San Luca, nel cuore dell’Aspromonte. In particolare gli investigatori hanno controllato nove appalti pubblici banditi dal comune di San Luca, dalla Provincia di Reggio Calabria e dalla Regione Calabria per opere da eseguirsi nel paese dell’Aspromonte. Lo sguardo offerto dalle inchieste mostra che non importa quanto il Comune sia piccolo: per la ‘ndrangheta l’importante è infiltrarsi e drenare tutte le risorse disponibili.
LA FEDE SI PIEGA ALLA COSCA
E «anche la fede a volte deve piegarsi al volere della ‘ndrangheta. Lo sanno bene i Mancuso di Limbadi che hanno partecipato, fornendo cemento e protezione, alla costruzione del santuario dedicato alla mistica di Paravati Natuzza Evolo. Fatti gravi, ammessi anche da padre Michele Cordiano – direttore della fondazione Cuore immacolato di Maria rifugio delle anime e confessore di Natuzza Evolo – durante un interrogatorio avvenuto nel marzo 2003 e di cui s’è venuti a conoscenza solo negli ultimi mesi». Il sacerdote, parlando con gli inquirenti, aveva spiegato che per la costruzione di Villa della Gioia, il complesso architettonico – religioso e assistenziale – voluto per “obbedire” a una visione di Natuzza Evolo, aveva preferito stare ad ascoltare «il suggerimento» che gli era arrivato da Pantaleone Mancuso, “Vetrinetta”. Il boss, durante una visita alla fondazione, aveva infatti indicato «qualora ci fosse stata necessità di calcestruzzo, il nominativo di tale Naso Francesco di Limbadi, da lui indicato come Ciccio Naso». Un consiglio che il sacerdote scelse di assecondare per garantire «una tutela ambientale» necessaria alla realizzazione dell’opera. È un potere pervasivo, quello della cosca di Limbadi. Lo dimostra (anche) un’altra inchiesta che vede protagonisti i Mancuso: quella contro due alti funzionari di polizia in servizio alla questura di Vibo Valentia. L’accusa per l’ex capo della squadra mobile e per il suo vice (e per un avvocato) è di essere “amici” dei boss, di avere riferito loro i contenuti delle indagini, di avere chiuso qualche occhio di troppo.
TURISMO, LAVORO E ABUSIVISMO
Nel grande calderone della zona grigia finisce pure il turismo. Che «porta lavoro» ma può nascondere anche «le peggiori ambizioni mafiose». «Nel mercato immobiliare e speculativo – scrivono i volontari di Legambiente – il peggio può arrivare anche senza il marchio di fabbrica della ‘ndrina di turno. Ne è un esempio la vicenda che ha portato al sequestro, avvenuto lo scorso autunno, della struttura alberghiera chiamata È-Hotel. Secondo il gip Massimo Minniti, che ha messo i sigilli all’albergo che si trova a due passi dal lido di Reggio Calabria, “è una struttura integralmente e radicalmente abusiva realizzata non solo in violazione di qualsiasi norma dettata dall’ordinamento in materia edilizia e urbanistica, ma anche in sostanziale difformità del permesso di costruire, anch’esso illegittimo”». Una vecchia storia, che Legambiente aveva denunciato già nel 2006.
Pochi chilometri più in là, a Brancaleone, sulla costa jonica, nel marzo del 2013 la guardia di finanza aveva messo sotto inchiesta il complesso turistico “Gioiello del mare”. Secondo la Dda reggina, in un’indagine coordinata da Nicola Gratteri, quel complesso l’avrebbero
tirato su, a venti passi dalla battigia, alcune imprese vicine alle cosche Aquino e Morabito. Proprio in uno degli ultimi siti di nidificazione delle tartarughe caretta-caretta, una splendida fascia dunale ricca di biodiversità. «Cementificare anche quel lembo di spiaggia è stata, secondo gli inquirenti, la loro inconfondibile impronta – spiega Legambiente». Che anche in questo caso, ma nel 2010, aveva denunciato «lo scempio delle villette a Brancaleone, quando con Goletta Verde arrivò sulle coste calabresi per compiere un blitz e accendere i riflettori sul villaggio, un progetto approvato tra l’altro dalla giunta comunale». Gli ambientalisti si presero pure una querela, poi archiviata, prima che le indagini della Dda piazzassero su quell’area l’ombra della criminalità organizzata. (0020)
p. p. p.
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