REGGIO CALABRIA La potabilizzazione e distribuzione delle acque della diga sul Torrente Lordo, i lavori di adeguamento della statale 106, ma anche la messa in sicurezza della scuola media statale Corrado Alvaro e persino le forniture destinate al centro commerciale La Gru. Non c’è attività economica, cantiere, lavoro o appalto a Siderno su cui il clan Commisso, famiglia d’èlite della ‘ndrangheta del mandamento jonico, e la galassia di ‘ndrine minori che lo appoggiano e sostengono, non abbiano messo le mani.
È quanto è emerso dall’inchiesta “Morsa sugli appalti pubblici” coordinata dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri e dal pm Antonio De Bernardo che oggi ha permesso agli inquirenti di scompaginare gli assetti, i rapporti e gli affari della cosiddetta “società di Siderno”, struttura chiave nella gestione degli equilibri di potere nel mandamento jonico reggino .
«L’operazione più importante dopo New Bridge»
«Dopo New Bridge – l’indagine che nei mesi scorsi ha consentito di individuare un’organizzazione transazionale diretta dagli Ursino di Gioiosa Jonica e dai Gambino di New York finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti tra la Calabria e gli Stati Uniti – si tratta dell’inchiesta più importante per quanto riguarda il mandamento jonico reggino», dice con soddisfazione il procuratore capo della Dda, Federico Cafiero De Raho, riferendosi non solo alla caratura criminale dei 29 soggetti colpiti da ordinanza di custodia cautelare, ma anche alle possibili devastanti conseguenze nella gestioni degli equilibri criminali dell’area. Per ordine del gip Olga Tarzia, su richiesta della Dda, in manette sono finiti elementi di assoluto rilievo nel panorama della ‘ndrangheta calabrese, primo fra tutti il “mastro” Giuseppe Commisso, raggiunto in carcere da un nuovo provvedimento di custodia cautelare, insieme all’anziano boss Salvatore Aquino, arrestato oggi insieme ad Antonio Coluccio, l’ultimo dei fratelli padroni di Marina di Gioiosa Jonica rimasto in libertà, e a quel Rocco Carlo Archinà che – evidenzia il procuratore Gratteri – «è l’unico partecipante al summit di Montalto ancora vivente, scelto come erede dello scettro di capo locale che era stato di ‘Ntoni Macrì». Uomini di peso del mandamento jonico, più volte pizzicati a incontri e riunioni in cui non si decidevano solo assetti e affari criminali, ma anche il futuro della politica locale e regionale che personaggi scelti dal clan avrebbero dovuto far divenire realtà. Personaggi come il medico dell’Asp ed ex presidente del consiglio comunale di Siderno, Antonio Macrì, che – sottolinea Cafiero De Raho – «quando decide di candidarsi alle regionali in quota Pdl si reca dal “mastro” a chiedere il permesso e il consenso del clan», promettendo in cambio dell’appoggio, non solo per l’assoluta salvaguardia gli interessi il sodalizio, ma addirittura la massima disponibilità a concordare persino le scelte politiche con il clan.
Appalti nel mirino
Quello stesso clan, che anche grazie alla galassia di ‘ndrine minori che attorno a esso si struttura, continua ad esercitare il suo asfissiante controllo sulla vita economica e sociale di Siderno e del suo comprensorio, nonostante gli arresti ne abbiano decimato le fila. Ascoltando le innumerevoli conversazioni registrate all’interno della lavanderia Ape Green – vero e proprio ufficio del “mastro”, violato negli anni scorsi da una fortunata cimice che ha permesso alla Dda di raccogliere prezioso materiale investigativo finito al centro di diverse operazioni – gli inquirenti sono stati in grado di individuare diversi soggetti economici che nel tempo hanno subito le pressioni della “società” sidernese. Hanno dovuto pagare l’1,5% del finanziamento pari a 6 milioni di euro ottenuto dalla Cassa del Mezzogiorno per la costruzione dell’impianto di potabilizzazione e distribuzione delle acque della diga sul Torrente Lordo nel Comune di Siderno, i titolari della ditta Cisaf, impegnata tra il 2009 ed il 2010 nelle relative opere appaltate dall’ente Acquedotto delle dighe del Metramo e Lordo, mentre era pari al 3% dell’importo complessivo dell’appalto la quota imposta alla ditta “Progress e Lavoro Società Cooperativa” di Polistena, aggiudicataria della distribuzione delle acque della diga compresi nel tratto Siderno – Gioiosa Jonica. Ma nel mirino dei Commisso è finita anche la statale 106, o meglio l’imprenditore che al general contractor Astaldi forniva il calcestruzzo necessario alla realizzazione dell’opera, dunque per questo condannato a versare al clan una percentuale variabile dei ricavi, come pure la ditta Archeo srl di Locri , aggiudicataria dell’appalto pari a quasi 200mila euro per la messa in sicurezza della scuola media statale “Corrado Alvaro” di Siderno, costretta al “consueto” 3% al clan. Ma gli appetiti del mastro non si limitavano ai grandi cantieri e alle opere pubbliche. Se al titolare del centro commerciale “La Gru” di Siderno veniva imposto di servirsi della società di uno degli uomini del clan, Carmelo Muià, per la fornitura della carne da rivendere all’interno del supermercato Iperspar dello shopping center, allo stesso modo l’entourage criminale riconducibile ai Commisso ha tentato di obbligare un imprenditore a consegnare 28mila euro a titolo di risarcimento per i debiti che la ditta Geoambiente di Belpasso – con cui l’uomo era precedentemente in rapporto – aveva contratto con la Sider Petroli di Siderno, riferibile e Cosimo e Michele “Zorro” Correale, entrambi uomini della cosca Commisso.
Il codice della ndrangheta
«Quando parliamo di pizzo – dice Gratteri – non importa quanto sia importante l’appalto, ricca la torta, non è una questione di guadagno, ma di esternazione del potere. Il capomafia vuole controllare il respiro, il battito, la pancia del paese, per questo impone il pizzo, perché il suo potere venga riconosciuto sul territorio». Una gabella che pesa poco o nulla nei bilanci dei clan ma moltissimo sul territorio su cui la cosca fa pesare in modo opprimente la propria caratura criminale secondo un codice di regole preciso, che proprio questa indagine è tornato a confermare. Sarà infatti il mastro a mettere fine alle proteste degli Aquino – «famiglia dell’èlite della ndrangheta della Locride, ma un gradino sotto i Commisso», specifica Gratteri – scesi sul piede di guerra perché a un “loro” imprenditore era stato chiesto di versare un “contributo” per poter continuare a vendere acqua a Ciminà. Un incidente diplomatico che sarà il “mastro” a chiudere ricordando che «tutti, anche gli uomini di un locale – ricorda Gratteri – quando lavorano in un territorio che non è quello del clan di appartenenza devono pagare». Una regola ferrea di cui Commisso può imporre il rispetto in ragione del suo innegabile peso criminale. «Il “mastro” – aggiunge ancora Gratteri – coordina da solo 180 locali di ndrangheta, è in grado di interagire direttamente con ‘ndrine che stanno in Canada, Stati Uniti e Australia».
Sfuggono in due, ma «è solo questione di tempo»
Non a caso è all’estero che sono residenti i due soggetti per i quali la Dda ha chiesto e ottenuto l’ordine di carcerazione, ma che sono sfuggiti – per adesso – all’arresto. «Solo questione di tempo» si mormora in ambienti investigativi, senza che la cosa incrini la soddisfazione per l’operazione eseguita. «Questa è un’indagine di lungo periodo, basata tutta su attività tecniche, intercettazioni telefoniche, ambientali, pedinamenti», dice il capo della squadra mobile Gennaro Semeraro, che ha visto i propri uomini materialmente impegnati nelle indagini insieme a quelli del commissariato di Siderno. Ma estrema soddisfazione «per aver interrotto il tentativo della ndrangheta di condizionare la vita politica, amministrativa, economica e sociale di un territorio, la esprime anche il direttore nazionale dello Sco, Raffaele Grassi, che ha promesso: «C’è necessità di continuare ques
to percorso di legalità, quindi continueremo a sostenere la questura di Reggio Calabria».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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