Omicidio Andreacchi, 5 anni senza giustizia
SERRA SAN BRUNO Via Corrado Alvaro passa attraverso una zona isolata, è una di quelle strade che nascono dal groviglio di vicoli del centro storico serrese e muoiono tra i fitti boschi di castagno ch…

SERRA SAN BRUNO Via Corrado Alvaro passa attraverso una zona isolata, è una di quelle strade che nascono dal groviglio di vicoli del centro storico serrese e muoiono tra i fitti boschi di castagno che lo circondano. È qui che Pasquale Andreacchi fu visto l’ultima volta. Qui fu avvistato da vivo, mentre andava incontro a un destino terribile. E qui fu trovato da morto, quando qualcuno lasciò il suo cranio, con un buco in fronte, in un cassonetto dell’immondizia. E come se non bastasse diede in pasto ciò che restava del suo corpo agli animali selvatici. È successo 5 anni fa: la sera dell’11 ottobre 2009 Pasquale, all’epoca 18enne, fu sequestrato, picchiato brutalmente e ucciso con un colpo di pistola calibro 6.35 sparato quasi in mezzo agli occhi. Chi lo ha fatto inginocchiare – era alto più di due metri – e lo ha freddato senza pietà, ha poi deciso di far ritrovare i suoi resti, sempre nello stesso luogo, due mesi dopo. Ancora oggi, però, non è stato trovato nessun colpevole per quell’atroce esecuzione.
Eppure Pasquale non era di certo una testa calda, non era al soldo delle ‘ndrine, anzi sembrava il classico ragazzo semplice, cresciuto in fretta nel fisico il cui sguardo, però, tradiva la timidezza del bambino introverso che era stato. Avrebbe compiuto 23 anni lo scorso 13 settembre. Un mese prima di essere ucciso aveva festeggiato il suo ingresso nella maggiore età regalandosi ciò che aveva desiderato più di ogni altra cosa: un cavallo. L’equitazione era la sua passione, la sua ragione di vita, per questo aveva voluto a tutti costi quello stallone, convinto di poterlo pagare con il premio assicurativo che avrebbe ricevuto per un incidente in cui era stato coinvolto. Ma i soldi dell’assicurazione non arrivavano e il creditore, un pregiudicato del luogo – già detenuto in passato per concorso in omicidio e, all’epoca dei fatti, in libertà vigilata –, stando a quanto riferito da alcuni familiari e conoscenti, lo avrebbe minacciato pesantemente, più volte. Si trattava di un debito di 1800 euro, e i sospetti nei confronti dell’uomo rimasero tali, nulla di più.
Un anno dopo il ritrovamento dei resti di Pasquale l’inchiesta sulla sua morte, su richiesta del magistrato Fabrizio Garofalo, all’epoca in servizio alla Procura vibonese, fu archiviata dal gip. Nessuno fu iscritto nel registro degli indagati, e lo stesso Garofalo dipinse nella sua richiesta di archiviazione il contesto generale di omertà nel quale si sono svolte le indagini. Il fascicolo è stato riaperto a maggio 2013, ma non si sono ancora registrate novità sostanziali. Resta aperta la questione dei vestiti ritrovati assieme ai suoi resti, che mesi fa sono stati inviati al gabinetto regionale di Polizia scientifica a Reggio Calabria per nuove analisi di cui, ancora, non si conoscono i risultati. E resta, seppur flebile, la speranza di ritrovare un ragazzo polacco – probabilmente tornato in patria subito dopo i fatti – che, secondo un suo connazionale sentito dai poliziotti del commissariato di Serra, sapeva molto della vicenda e ne era rimasto parecchio scosso.
Intanto sono passati 5 anni, e quei resti hanno trovato un dignitoso riparo proprio nella boscaglia in cui furono ritrovati. Ed è sempre lì, su via Corrado Alvaro, che Salvatore e Maria Rosa vanno a piangere e a invocare giustizia per il loro primogenito. Ma ogni anno che passa, sono sempre più soli.
Sergio Pelaia
s.pelaia@corrierecal.it