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Ecco il codice delle 'ndrine

È in un banale quaderno a righe di colore rosso – uno di quelli da supermercato, anonimo, comune -, che gli investigatori di polizia e guardia di finanza hanno trovato pagine e pagine di appunti scri…

Pubblicato il: 20/01/2015 – 20:41
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Ecco il codice delle 'ndrine

È in un banale quaderno a righe di colore rosso – uno di quelli da supermercato, anonimo, comune -, che gli investigatori di polizia e guardia di finanza hanno trovato pagine e pagine di appunti scritti a mano, con calligrafia precisa e ordinata, ma in una lingua sconosciuta. All’epoca, Gianni Cretarola è appena stato arrestato, non risponde alle domande dei magistrati, non spiega che cosa significhi quel codice. La decisione di collaborare sarebbe maturata solo mesi dopo, dunque tocca a inquirenti e investigatori tentare di risolvere il rebus.

 

IL CLAN CHE SI VOLEVA PRENDERE ROMA
Solo mesi dopo, l’uomo deciderà di infrangere il muro del silenzio dietro cui si era trincerato. Aperto il varco della riservatezza, il neocollaboratore agli inquirenti fornirà informazioni, dati e riscontri che oggi stanno alla base dell’operazione che ha portato all’arresto di 31 persone accusate a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico internazionale, lesioni, ricettazione, estorsione, danneggiamento, favoreggiamento personale, simulazione di reato, possesso e fabbricazione di documenti falsi e porto e detenzione abusiva di armi. Un nucleo agguerrito a regia sanlucota – il capo è stato individuato in Giovanni Pizzata, esponente di punta dei Cicero-Scalzone – in grado di importare e smerciare partite di hashish e cocaina di migliaia di chili, con cui inondare il mercato della Capitale per monopolizzarlo, ma soprattutto – spiegherà Cretarola, confermando gli elementi emersi dalle indagini – pronto a difendere i propri interessi con il sangue e con il piombo. A fare le spese dell’ingordigia del clan, è stato ad esempio Vincenzo Femia, ritenuto fra i più importanti trafficanti di droga calabresi sulla piazza romana, cognato del reggente del clan Nirta di San Luca. L’uomo, ucciso nel gennaio del 2013, è stato eliminato dal gruppo guidato dal cugino Giovanni Pizzata, che ha deciso di eliminare alla radice ogni possibile forma di concorrenza sulla Capitale, prima che i parenti decidessero di optare per la medesima soluzione con lui. Ma a pagare sono stati anche un uomo di origine marocchina, gambizzato per aver occupato illegalmente un’abitazione che interessava a un amico del boss, come il carrozziere Teodoro Battaglia, ferito nell’ottobre 2012 per aver “mancato di rispetto” nei confronti di Gianni Cretarola e Massimiliano Sestito, che si erano recati nella carrozzeria per rintracciare un parente della vittima.

 

IL CODICE DELLE ‘NDRINE
Tutte circostanze che Cretarola confermerà, spiegherà e metterà in fila per disegnare l’evoluzione di quel piccolo ma agguerrito gruppo che, grazie alla droga, voleva prendersi Roma. Ma soprattutto, il neocollaboratore svelerà agli investigatori la chiave per decifrare il misterioso codice necessario per decriptare il contenuto dell’ordinatissimo quaderno. All’epoca il pentito non sa che gli investigatori, con fatica e determinazione sono già venuti a capo del rebus, ma per mostrare la propria buona volontà in uno dei primi interrogatori dice al pm Minisci “io dovrei consegnarvi anche quel… ho fatto la traduzione di quel manoscritto… delle lettere di quel manoscritto che voi avete trovato così”. Non è un codice semplice. “Ci possono essere delle varianti – afferma – che io attualmente non mi ricordo ma voi dal senso compiuto della frase sicuramente lo capite”. Quel foglio, con tutte le indicazioni per la decriptazione, risulterà identico a quello elaborato con fatica dagli investigatori, grazie al quale da tempo la Dda di Roma è in grado di interpretare quei sette fogli di appunti manoscritti. Dentro – sanno da tempo i pm – ci sono formule di affiliazioni, preghiere a San Michele Arcangelo, rituali in parte noti, in parte del tutto sconosciuti, che sarà Cretarola a spiegare passo passo agli inquirenti. A partire da quel giuramento che contraddistingue il giovane d’onore: “Come si riconosce un giovane d’onore? Con una stella d’oro in fronte una croce di cavaliere sul petto e una palma d’oro in mano.
E come mai avete queste tre belle cose e non si vedono? Perché le porto in carne pelle e ossa”. Ma agli inquirenti, il pentito spiegherà anche che per chi si è già macchiato di un reato di sangue, l’evoluzione criminale all’interno della ‘ndrangheta è ancora più rapida, ma sempre segnata da un particolare rito che segna il passaggio. “Giovanotto avete fatto sangue? Sì saggio compagno. E ditemi quanto sangue è caduto in terra. No, saggio compagno da una vena camorristica usciva e in una vena camorristica entra”.

 

LA “FAVELLA” DELLA PICCIOTTERIA
Ed è con lo slancio del neofita che Cretarola nel suo quaderno annoterà anche la filastrocca associata alla copiata, i tre ‘ndranghetisti di livello che “garantiscono” per il soggetto che si appresta a ottenere una “carica”. Un particolare fin qui non emerso nelle precedenti indagini e che il collaboratore spiegherà in dettaglio ai magistrati: “Ad ogni copiata si accompagna una filastrocca. Detto così è un po’ brutto però si accompagna una favella. La favella sarebbe il racconto di come tu hai ricevuto questa dote. Okay?”. Quella della picciotteria – il grado più basso di chi entra a far parte di un’organizzazione mafiosa – è ordinatamente appuntata sul suo diario: “Una bella mattina di sabato Santo allo spuntare e non spuntare del sole passeggiando sulla riva del mare vitti una barca dove stavano tre vecchi marinai che mi domandarono cosa stavo cercando. Io gli risposi sangue e onore. Mi dissero di seguirli che l’avrei trovato. Navigammo tre giorni e tre notti fino ad arrivare nel ventre del isola della Favignana. Lì sulla mia destra vitti un castello dove c’erano due leoni incatenati a una catena di ventiquattro maglie e con me una venticinque dopo mi accorsi che c’era una scala di marmo fino, finissimo, di ventiquattro gradini e con me una venticinque, in cima a questa scala sulla mia destra trovai tre stanze entrai nella prima e vi trovai un vecchio con la barba era San Michele Arcangelo entrai nella seconda stanza e vi trovai una donna vestita tutta di nero era nostra Santa Sorella Elisabetta entrai nella terza stanza e vi trovai una cassa di noce fina finissima lo aperta e vi trovai un pugnale e lì ho giurato eterna fedeltà al onorata società. Una bella mattina di sabato Santo allo spuntare e non spuntare del sole passeggiando in aperta campagna dopo aver attraversato montagne colline e pianure mi ritrovai sulla sponda del fiume Giordano lì vitti una barchicella con tre vele a forma di latino dove stavano tre vecchi marinai che con parole d’uomo e d’umiltà mi dissero di seguirli navigammo tre giorni e tre notti fino ad arrivare sull’altra sponda del fiume Giordano lì vitti sulla mia destra un albero fiorito di ventiquattro armature e una venticinque con quella che rappresento io. È lì che ho conosciuto l’onore dello sgarro”. Una formula carica di elementi simbolici – il 24 e il 25 nel codice della ‘ndrangheta sono sempre ricorrenti, spiega ad esempio il collaboratore – che nel tempo ha subìto anche delle variazioni, come il riferimento a San Michele Arcangelo, perché dice Cretarola al pm “dopo che il 29 di settembre voi fate la festa è venuta sostituita con la Madonna di Polsi”, ma che conferma che anche lontano dalla Calabria la ‘ndrangheta mantiene intatti e inalterati formule e riti tanto per le affiliazioni, come per “battezzare il locale” o “formare la società”.

 

CONTABILITA’ OCCULTA
Ma i codici non servivano solo a nascondere formule e rituali. Più pragmaticamente erano usati anche per tenere lontani occhi indiscreti dalla contabilità. Nel corso della perquisizione eseguita nel mese di luglio del 2013, gli investigatori hanno trovato infatti anche un secondo quaderno in cui erano appuntati a penna nominativi, quantità e cifre, ma anche in questo caso tutto era scritto in codice.

 

codice contabilità.jpg

 

 

“Questo quadernino – rivela Cretarola ai pm – è un squadernino che io utilizzavo per appuntare tutti i numeri, i prezzi degli stupefacenti, i quantitativi, le forniture. Penso che ci deve mancare qualche pagina perché molti di questi quaderni io li cambiavo perché logicamente un fatto vecchio, concluso vecchio, una fornitura vecchia non mi interessava più ma mi appuntavo solo quelle che avevamo in corso o le ultime insomma. La scrittura è totalmente criptata quindi non ci sono i nomi, non si troverà per esempio un nome Fabio, Luca, Giancarlo o di che sia ma è decriptata con un codice che avevamo noi”. E i conti erano tenuti in maniera impeccabile, precisa, accurata, secondo una “tabella ben precisa – spiega il pentito – dove c’è percentuale di purezza, percentuale di taglio, prezzo al dettaglio, prezzo all’ingrosso, cifra avuta e cifra da avere”. Una contabilità annotata in doppia copia. Anche lo storico complice Massimo Sestito, sotto la cui ala Cretarola aveva mosso i primi passi da ‘ndranghetista, teneva una sua contabilità “quindi le cifre, i numeri, le persone che avevo occultate io su quel quaderno, lui di pari passo aveva lo stesso… lo stesso libro contabile diciamo”. Sestito però era più all’avanguardia e per tenere i conti a posto usava il computer. “Però quel codice è stato impossibile ri… riscriverlo sul computer perché nel computer mancano figurativamente quelle lettere”, aggiunge il collaboratore, spiegando che il sodale era stato costretto a elaborare un codice tutto suo “o matematico, come lo aveva col fratello durante la latitanza, oppure delle iniziali storpiate, insomma una cosa sua che aveva potuto riprodurre su Excel perché su Excel non poteva fare quegli scarabocchi”.

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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