Nuova svolta nel caso Lanzino
COSENZA «L’autore della violenza su Roberta Lanzino rimane ignoto». È questa la conclusione a cui sono giunti i militari del Ris di Messina che hanno comparato il Dna trovato su un campione di terra…

COSENZA «L’autore della violenza su Roberta Lanzino rimane ignoto». È questa la conclusione a cui sono giunti i militari del Ris di Messina che hanno comparato il Dna trovato su un campione di terra – che si trovava sotto il cadavere di Roberta Lanzino – con quello di Francesco Sansone e dei familiari di Luigi Carbone. Sansone e Carbone sono accusati di aver violentato e ucciso la studentessa di Rende morta il 26 luglio del 1988. Per l’assassinio di Carbone, vittima di lupara bianca, sono accusati Alfredo e Remo Sansone, rispettivamente padre e fratello di Franco. Il presidente del Tribunale aveva disposto la comparazione del Dna con i genitori e i figli di Carbone.
«Non si osserva una completa sovrapponibilità-compatibilità» tra il Dna di Franco Sansone e quello prelevato sul campione di terra analizzato dal Ris, quello soprannominato “T5”. «Un’attenta comparazione» ha permesso di escudere – mette nero su bianco il Reparto scientifico dei carabinieri – un’eventuale compatibilità con i profili genotipici dei genitori di Carbone e dei suoi due figli maschi. E ribadiscono: Francesco Sansone e Luigi Carbone non si identificano nel «contributore biologico minoritario della mistura in esame». Quindi, il profilo genetico prelevato dal campione di terra allo stato appartiene a un individuo ignoto.
Il maggiore Carlo Romano e il maresciallo Giovanni Marcì – incaricati dal presidente del tribunale, Maria Antonia Gallo, di analizzare una serie di reperti relativi al caso Lanzino – il prossimo 5 marzo relazioneranno in udienza sugli esiti della comparazione del Dna.
«Ho sempre sostenuto e creduto nell’innocenza del mio assistito – spiega l’avvocato di Sansone, Enzo Belvedere – e fin dall’inizio Franco Sansone si è detto disponibile e pronto su qualsiasi comparazione dell’esame del Dna che è arrivato in ritardo ma che comunque rende finalmente giustizia al mio assistito».
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it