LAMEZIA TERME Una tragedia, quella del viadotto Italia, che con buone possibilità si sarebbe potuta evitare. Non c’entra il Fato, il destino cinico e baro che si è divertito a togliere la vita a un 25enne, l’operaio Adrian Miholca dell’impresa Nitrex (che secondo quanto è noto lavorava in subappalto sul tratto cosentino della Salerno-Reggio), precipitato da 80 metri mentre eseguiva dei lavori di predisposizione della demolizione dell’impalcato. Non c’entrano, probabilmente, neppure tanto i turni «massacranti» rilavati dalla Filca Cisl di Mauro Venuleio, ma, piuttosto, la mancanza di un sopralluogo preliminare, di una figura specializzata sul posto, e di un macchinario particolare. Tre cose che, insieme, avrebbero potuto evitare l’incremento di un tributo di vite alla Salerno-Reggio che tristemente cresce di anno in anno.
Lo dice un luminare del settore, quell’Alessandro Guerricchio – geologo e docente in forza al dipartimento di Ingegneria civile dell’Unical – che ha preso parte ai lavori di ideazione dell’infrastruttura e, successivamente, al cantiere che stava per partorire quello che, allora, era il gigante d’Europa. Uno dei casi più impegnativi dal punto di vista geologico e morfologico mai affrontati, perché prevedeva l’attraversamento del fiume Lao e la costruzioni su buone porzioni di roccia calcarea “scagliettata”. Una vera e propria sfida per Lodigiani, impresa che si fece carico della realizzazione, per conto dell’Anas, del viadotto in calcestruzzo armato lanciato a ben 255 metri di altezza. La cui esecuzione, prima d’ora, non era mai stata messa in discussione. E a ragione. «Il viadotto in sé – spiega Guerricchio – non ha mai rappresentato un problema di sicurezza. I problemi veri nascono poi, quando per eseguire lavori ordinari non si incentivano competenze specifiche, l’utilizzo di macchinari adeguati e non si svolgono tutte le indagini del caso».
«FATALI» I FORI PRATICATI NELLA TRAVE
Quanto afferma Guerricchio è, non solo in linea con quanto rilevato dalla Commissione di inchiesta infortuni sul lavoro, che dopo l’incidente ha aperto un fascicolo basandosi sulle indicazioni dei sindacati che avevano rilevato condizioni «non sempre in linea con i dettami della prevenzione». È anche il “taglio” di un esperto che di cantieri del genere ne ha visti a centinaia. Anzitutto Miholca non si sarebbe trovato solo a bordo di un semplice muletto – questo non avrebbe giustificato il crollo della trave – ma, spiega Guerricchio, «si trovava a bordo di una macchina dotata di martello pneumatico. Si tratta di lavori che si compiono di continuo, ma che devono essere svolti da personale qualificato, e che prevedono l’esecuzione di fori nella trave. Al loro interno si piazza dell’esplosivo, di modo che una detonazione faccia precipitare dei frammenti di trave per procedere, dopo, a lavori di consolidamento». Per Guerricchio, dunque, la parte di viadotto può essere crollata per due motivi: «o – spiega – il calcestruzzo non ha retto alla sollecitazioni, o le sollecitazioni sulla pila del capitello hanno provocato vibrazioni talmente forti da aver indebolito l’intera struttura».
«SERVIVA UN SOPRALLUOGO PRELIMINARE»
In entrambe i casi, tuttavia, tanto si sarebbe potuto fare, secondo il geologo, per evitare la tragedia. «È buona norma, anzi è obbligatorio – afferma Guerricchio – che prima di effettuare operazioni del genere si effettuino degli studi preliminari sullo stato dei materiali, e che le maestranze impiegate siano perfettamente a conoscenza di quello che stanno facendo. In altre parole, il responsabile del cantiere avrebbe dovuto accertarsi della consistenza del calcestruzzo sottostante alla piastra, e verificare se fosse troppo alterato per reggere le sollecitazioni del martello pneumatico. Anche l’operaio avrebbe dovuto essere perfettamente a conoscenza della delicatezza delle operazioni che andava a compiere». Dalle intercettazioni sull’inchiesta “Grandi opere” rese già note negli scorsi giorni dal Corriere della Calabria, emerge però, a questo proposito, una verità inquietante, che vuole che Stefano Perotti, cui era stata affidata la direzione dei lavori di vari cantieri tra cui quello tra Laino Borgo e Campotenese, avesse affidato l’esecuzione materiale per la predisposizione della demolizione dell’impalcato a una “sua” equipe che lavorava su un altro lotto, senza la presenza di almeno un ingegnere specializzato.
«MANCAVA IL CARROPONTE»
Non sarebbe, inoltre, stata privilegiata un’altra – ovvia – misura di sicurezza, che prevede l’utilizzo di un macchinario detto “carroponte”, che si usa frequentemente nei porti ma anche nei viadotti, costituiti da pile su cui sono adagiate le travi. In soldoni, «il carroponte – spiega ancora Guerricchio – posto dall’una all’altra parte della trave su cui si stava lavorando, avrebbe permesso di “imbrigliare” la trave, che non sarebbe precipitata secondo la dinamica che ha provocato la morte dell’operaio. Il mezzo, inoltre, avrebbe determinato condizioni di maggiori sicurezza per il personale, e dunque era un accorgimento basilare che, a quelle altezze, era necessario prendere». Intanto, si allarga l’inchiesta della Procura della Repubblica di Castrovillari. Gli inquirenti, infatti, ipotizzano che possa essersi danneggiato anche un ponte vicino al tratto crollato lo scorso 2 marzo.
Zaira Bartucca
z.bartucca@corrierecal.it
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