REGGIO CALABRIA Sono richieste che accolgono in pieno i rilievi difensivi e ribaltano le sentenze emesse in primo e secondo grado di giudizio quelle avanzate dal pg Danilo Riva nel nuovo processo d’appello “Urbanistica”, scaturito dall’inchiesta che ha scoperchiato un presunto sistema di “mazzette” all’interno di alcuni uffici del Comune di Reggio Calabria. Tornato in appello per volere della Suprema Corte, per il rappresentante della procura generale il processo è un buco nell’acqua perché per quasi tutti «il fatto non sussiste». Il sostituto pg Riva ha infatti chiesto l’assoluzione per Giuseppe Melchini, condannato in Appello a 7 anni e 8 mesi, come per Pasquale D’Ascoli, che in appello aveva rimediato 6 anni e 6 mesi in Appello, per Carmelo Lo Re, in precedenza punito con 6 anni, per Francesco Calì, condannato in secondo grado a 5 anni e 6 mesi, come per Marilena Mastrandrea e Antonio Smeraldo, entrambi puniti con 2 anni. Solo per Antonio Demetrio Artuso e Giovanni Tornatola invece, Riva ha sollecitato la Corte a riqualificare il reato contestato in truffa e a confermare la condanna di primo grado – cinque anni per Artuso, 4 per Tornatola – chiedendo in subordine che venga dichiarata la prescrizione del reato.
L’indagine, eseguita dalla squadra mobile, in seguito a una segnalazione anonima relativa a un fabbricato abusivo, ha permesso di svelare uno spaccato sconcertante di illegalità diffusa nella pubblica amministrazione reggina, in cui i soggetti coinvolti avrebbero fatto un vero e proprio mercimonio delle proprie funzioni. Un’attività investigativa che si a partire dal 2008 si è intrecciata con i lavori della commissione d’indagine presieduta da Nuccio Barillà che il consiglio comunale ha istituito anche dopo le denunce dell’allora presidente dell’assemblea, Aurelio Chizzoniti. Ma se i lavori di quella commissione si erano conclusi all’epoca solo con il trasferimento ad altra mansione di Melchini – casuale e non relazionato alla questione, stando ad alcuni testimoni sentiti nel corso del dibattimento – l’inchiesta della Procura reggina è andata ben oltre. Secondo quanto dimostrato dalle indagini infatti, in mano alla lobby dell’ufficio Urbanistica – riconosciuta anche processualmente come associazione – l’attività di gestione degli uffici tecnici del Comune di Reggio Calabria non era un momento di verifica al servizio dei cittadini, ma «una famelica opportunità di guadagno» per un ristretto gruppo di potere, come già sottolineato dal gip Kate Tassone, che firmò l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Un “sistema” che – secondo il teorema accusatorio passato indenne attraverso due gradi di giudizio, ma ribaltato dalla Cassazione, cui il nuovo processo d’appello si è conformato – sarebbe stato basato sostanzialmente su tre punti: la gestione dell’attività di Melchini in maniera “para-istituzionale”, l’esistenza di sottogruppi di interesse, anche contrapposti, e l’individuazione di ostacoli nei soggetti che, invece, tentavano di mantenere almeno una parvenza di legalità.
a. c.
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