VIBO VALENTIA Per la Procura di Vibo tra i fattori che nel febbraio del 2010 causarono l’enorme frana di Maierato determinante fu l’inquinamento ambientale provocato dall’illecito smaltimento di rifiuti industriali. Per questo i carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Reggio Calabria e del Comando provinciale, dopo aver effettuato dei sopralluoghi coadiuvati da Ctu della Procura e da personale dell’Arpacal nell’area di frana, nel depuratore della zona industriale di Maierato e in quattro stabilimenti industriali, e dopo aver acquisito la documentazione presso gli uffici del Comune di Maierato e della Provincia di Vibo, hanno notificato otto avvisi di conclusione indagini. Gli indagati sono due funzionari del comune di Maierato e due funzionari della Provincia, a cui vengono contestati i reati di disastro colposo e frana, nonché quattro imprenditori della zona industriale di Maierato per disastro ambientale doloso e frana. Gli imprenditori indagati sono: Silvano Fiorillo, 45 anni, di Vibo Valentia, titolare della Martens Srl; Domenico Antonio Bilotta, 81 anni, titolare della Vetromed Spa; Carmine Sardanelli, 77 anni titolare della Intertonno Srl; Giacinto Callipo, 41 anni, di Pizzo, titolare della Vercall. I quattro funzionari pubblici indagati, invece, sono: Giorgio Cinquegrana, 58 anni, e Filippo Silvio Silvaggio 62 anni, entrambi funzionari del comune di Maierato; Gianfranco Comito, 57 anni, e Francesco De Fina, 64 anni, di Sant’Onofrio, entrambi dirigenti della Provincia di Vibo (il secondo è ora in pensione).
Le indagini dei militari del Noe e della Compagnia di Vibo risalgono al 2008 e sono partite dopo una denuncia presentata da un contadino della zona che aveva segnalato una strana colorazione del fosso Scuotapriti accompagnata da esalazioni nauseabonde.
«I successivi approfondimenti d’indagine – scrivono gli inquirenti – hanno consentito di accertare una mancata gestione del depuratore a servizio della predetta zona industriale e l’illecito smaltimento di reflui industriali inquinanti nel predetto fosso. In particolare, le quattro aziende maggiormente coinvolte, già dalle prime indagini furono interessate da provvedimenti di sequestro parziale o totale dell’opificio, ed in alcuni casi anche dell’arresto in flagranza dei due soci per illecito smaltimento di rifiuti speciali pericolosi».
Gli accertamenti dei tecnici della Procura, che per indagare alcuni aspetti societari si è avvalsa anche della Guardia di finanza, hanno consentito di stabilire che la reazione chimica provocata delle sostanze illecitamente smaltite nel fosso Scuotapriti (oltre alle scarse qualità geo-tecniche dei terreni del sottosuolo e all’intensa circolazione idrica sotterranea) ha contribuito «in modo assolutamente determinante» al verificarsi della frana.
Dalle indagini è emerso che tutti gli indagati (con presunte condotte omissive i funzionari, commissive gli imprenditori) avrebbero causato la frana di proporzioni tali da esporre a un concreto pericolo la collettività. Nello specifico, tali condotte, secondo gli inquirenti avrebbero contribuito a acidificare fortemente le acque del Fosso Scuotapriti che, attraverso l’ininterrotto scorrimento sotterraneo tra le rocce carbonatiche caratteristiche del sottosuolo, hanno provocato la lenta e progressiva destrutturazione dei calcari. Ciò, combinato con la sovrassaturazione dell’area dovuta, oltre che a deflussi superficiali e allo scarico di acque bianche, anche alle copiose precipitazioni registratesi nei giorni immediatamente precedenti all’evento, avrebbe provocato una repentina accelerazione del processo di dissoluzione delle rocce e quindi il collasso del sistema geologico di località Giardino.
All’epoca – era il pomeriggio del 15 febbraio 2010 – una massa enorme di terra e fango si staccò dalla collina ad ovest del paese trascinando alberi, vegetazione e un pezzo di strada provinciale, e lasciando dietro di sè una enorme nicchia nella collina larga 500 metri ed alta 50 m. Il volume stimato del movimento franoso fu di 10 milioni di metri cubi.
Sergio Pelaia
s.pelaia@corrierecal.it
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