REGGIO CALABRIA È passato oltre un anno da quando l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola e la moglie di Amedeo Matacena, Chiara Rizzo si sono ritrovati di fronte allo stesso giudice per rispondere, insieme a Martino Politi e alle segretarie Roberta Sacco e Mariagrazia Fiordelisi, dell’accusa di aver a vario titolo aiutato l’ex parlamentare Amedeo Matacena a sottrarsi a una condanna per mafia, nonché ad occultare il proprio immenso patrimonio. All’epoca – forse spavaldi, forse incoscienti – annunciavano che avrebbero chiarito già in sede di udienza preliminare tutte le accuse a loro carico e tutto si sarebbe risolto ancor prima di arrivare in dibattimento. Annunci, o forse speranze, vane. Già di fronte al gup, il nuovo materiale probatorio messo a disposizione delle parti, ha mostrato un quadro ben più grave e complesso di quanto l’ordinanza non prefigurasse. All’epoca Scajola si era già sfilato dalla battaglia in sede di udienza preliminare, scegliendo insieme alla Fiordelisi il dibattimento, dove – annunciava tramite i propri legali – “avrò modo di difendermi da tutte le accuse”. La Rizzo no. Per mesi, insieme ai suoi legali si è incaponita in un’estenuante battaglia di fronte ad gup, che di udienza in udienza vedeva aggravare la posizione di Lady Champagne.
DALL’EOLICO ALLA COGEM, IL SISTEMA MATACENA
Progressivamente sono emersi gli infiniti interessi dei coniugi Matacena nei più diversi settori di business, dall’eolico alla navigazione, dai prefabbricati alle energie alternative, passando per l’edilizia, come pure il fondamentale ruolo da “longa manus” di Matacena assunto dalla Rizzo, quando il marito ha scelto la via della latitanza, ma la vera svolta è arrivata con il deposito dell’informativa sugli affari della Cogem, società controllata in modo occulto dai coniugi Matacena, negli ultimi quattordici grande mattatrice di appalti pubblici a Reggio Calabria, poi equamente spartiti fra i più noti clan reggini. Subappalti e commesse che per la Dda non sono coincidenze, né casualità, ma risponderebbero allo schema di spartizione degli appalti su cui le ‘ndrine reggine avrebbero forgiato le nuove regole e i nuovi assetti all’indomani della seconda guerra di ‘ndrangheta. «Tali rapporti contrattuali – si legge nelle carte – costituivano lo strumento per affidare parte dei lavori relativi alle opere pubbliche già richiamate a soggetti direttamente o indirettamente inseriti nella, o comunque riferibili alla predetta organizzazione criminale di tipo mafioso, con la conseguente volontaria agevolazione del predetto sistema criminale mediante la canalizzazione a suo favore dei connessi vantaggi patrimoniali di rilevante entità».Ma questo potrebbe essere solo una parte – esemplificativa – di un quadro decisamente più complesso, che vede Matacena quale ingranaggio indispensabile di un sistema che tiene insieme due mondi quello imprenditoriale e quello dell’elite criminale di Reggio Calabria.
AGGRAVANTE MAFIOSA
Per questo – ipotizza la procura – quando l’ex politico armatore viene fermato a Dubai , ad attivarsi per tutelarne libertà e operatività è un’intera organizzazione, in grado di contare su appoggi istituzionali e para-istituzionali, che per il pm Lombardo sarebbe «interessata a mantenere inalterata la piena operatività del Matacena e della galassia imprenditoriale a lui riferibile, costituita dalle molteplici società ed aziende prima indicate ed altre in corso di individuazione, che venivano utilizzate, dietro articolate ed indispensabili operazioni di interposizione fittizia in grado di superare gli sbarramenti costituiti dalle informazioni prefettizie, per schermare la vera natura delle compagini sociali, dei consorzi e delle associazioni temporanee di imprese». Ed è proprio alla luce di questo quadro, molto più complesso e grave, che il pm Lombardo ha chiesto e ottenuto per la Rizzo, Politi e la Sacco, il ripristino della contestazione dell’aggravante mafiosa che il gip non aveva avallato nell’emettere l’ordinanza di custodia cautelare nel maggio scorso.
IL RITORNO ALL’ORDINARIO
Una svolta che ha convinto le difese di Lady Matacena e del braccio destro storico del marito a rinunciare al rito abbreviato, per tornare all’ordinario, dove il procedimento – dopo una serie di lunghissime udienze necessarie per riallineare l’istruttoria – è stato riunificato. Per mesi la Rizzo e Scajola, incrociandosi sulla porta dell’aula 12 si sono limitati a un frettoloso “ciao”. Da oggi, invece, si troveranno nella stessa aula e di fronte allo stesso giudice. E – forse – sui fronti opposti di una battaglia tutta personale per salvarsi dall’accusa di aver agevolato Matacena, quale «stabile interfaccia della ‘ndrangheta, nel processo di espansione dell’organizzazione criminale, a favore di ambiti decisionali di altissimo livello». Un’accusa – dicono i bene informati – che anche per l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola potrebbe a breve essere appesantita dalla contestazione dell’aggravante mafiosa.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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