Non si sommano mele e pere.
L’operazione può anche essere tentata, nel mondo della malainformazione come in quello della malapolitica, ma non funziona sui tavoli della Giustizia e delle Istituzioni. Qualcuno se ne dovrà fare una ragione ma è così: c’è un abisso a separare posizioni e responsabilità, politiche e giudiziarie, dei vari protagonisti di “Rimborsopoli. Questo abisso è plasticamente illustrato proprio nelle carte dell’inchiesta, ancora non conclusa, di “Rimborsopoli”. Gli indagati sono quasi una sessantina ma solo 31 nomi compaiono, allo stato, nell’ordinanza del gip. Di questi 31 solo per otto la procura chiede misure cautelari e solo per questi otto il gip decide di adottarli: ci sarà una ragione per questo distinguo. Nel dossier che il presidente del consiglio regionale Tonino Scalzo ha consegnato nelle mani di Lorenzo Guerini qualcuna di queste ragioni affiora. Anche se Scalzo ha limitato il carteggio alla parte che serviva a scontornare le accuse poste a suo carico.
Proviamo a capire perché possiamo, leggendo le carte dell’inchiesta, parlare di “Adamopoli” e non possiamo invece parlare di “Scalzopoli”. Partiamo dall’accusa mossa al presidente del Consiglio. Nella passata legislatura, quale consigliere del Pd avrebbe ottenuto dal suo capogruppo Sandro Principe «somme di cui avevano la disponibilità in ragione del loro ufficio, in quanto erogate al predetto gruppo consiliare dal consiglio regionale della Calabria ai sensi e per gli effetti della legge regionale numero 13/2002 (e successive modifiche), per i seguenti importi: – per il 2010 € 8.645,43 a titolo di rimborso per presunte spese relative all’attività del gruppo consiliare ma in realtà mai documentate; – per il 2011 € 2.548,11 a titolo di rimborso per spese in realtà risultate avere finalità private e in ogni caso non ammissibili a rimborso». Danno erariale contestato: circa undicimila euro. Scalzo rendiconta quelle somme con fatture di viaggio e tre cene. Stabilirà il magistrato se rientravano tra le spese rimborsabili o oppure no. Ma già abbiamo un primo dato politico: Scalzo militerà sempre nel gruppo del Pd, partito che lo ha fatto eleggere. Un punto non secondario perché i gruppi ricevono somme in proporzione ai consiglieri eletti. Nel caso di Scalzo le somme ricevute dal gruppo, grazie alla sua adesione, sono infinitamente superiori agli undicimila euro contestati al consigliere Scalzo.
E veniamo a Nicola Adamo. Viene indagato e viene raggiunto da richiesta di misura cautelare accolta dal gip per avere ricevuto «nella qualità di consigliere regionale appartenente al gruppo consiliare presso la Regione Calabria denominato “Misto” e quindi pubblico ufficiale, indebitamente percepiva da parte di Giuseppe Bova, nella qualità di consigliere regionale e capogruppo del medesimo gruppo consiliare e quindi anch’esso pubblico ufficiale, appropriandosene, somme di cui avevano la disponibilità in ragione del loro ufficio, in quanto erogate al predetto gruppo consiliare dal consiglio regionale della Calabria ai sensi e per gli effetti della legge regionale numero 13/2002 (e successive modifche), per i seguenti importi: – nel 2010 € 95.356,10 a titolo di rimborso per spese in realtà risultate avere finalità private e in ogni caso non ammissibili a rimborso; – nel 2011 € 98.000,00 a titolo di rimborso per spese in realtà risultate avere finalità private e in ogni caso non ammissibili a rimborso; – nel 2012 € 85.500,00 a titolo di rimborso per spese in realtà risultate avere finalità private ed in ogni caso non ammissibili a rimborso». Il totale sfiora quota trecentomila euro.
E qui siamo alla prima impossibilità di sommare le mele (undicimila euro) di Scalzo con le pere (trecentomila euro) di Adamo. Ma c’è anche il dato politico: Scalzo viene eletto nel Pd ed è il primo incarico istituzionale che ha dal suo partito, prima ha fatto il medico. Adamo non ha mai lavorato un giorno in vita sua, non ha un mestiere, ha vissuto per la politica, certo, ma anche di politica. Lo ha fatto grazie a un partito che gli ha garantito cinque legislature regionali e persino un’elezione alla Camera dei deputati. Un partito che lo ha imposto come vicepresidente della giunta Loiero e che per ben sei volte lo ha voluto assessore regionale e anche capogruppo consiliare. Ma lui, pur eletto nel Pd, va nel gruppo Misto. E’ anche grazie a questa defezione che potrà disporre di somme largamente superiori come rimborso. Non le ha impiegate – spiega – per comprarsi le mutande ma non è importante sapere che le mutande, per restare al suo elegante esempio, non le ha comprate per lui. Occorre dimostrare anche che non le abbiano comparate altri con i soldi che lui drenava dal gruppo Misto. Qui sta l’indagine e qui stanno le pere che non si possono sommare con le mele. Questo il dato politico. Non basta per autorizzare a dire di “Adamopoli”. Quel che manca lo aggiunge il gip quando scrive: «…Questo si riflette ulteriormente sulla condotta dei capigruppo (anche per coloro cui non si attribuisce alcuna condotta di spesa personale, come Giuseppe Bova) nel momento della presentazione delle note riepilogative, che rappresenta la cartina al tornasole della piena partecipazione e condivisione del modus di gestione dei fondi, in cui falsamente si attestava la correttezza della spesa, quando, in più occasioni, venivano indicate uscite per somme superiori ai giustificativi, o viceversa, per somme inferiori a quelle documentate, o ancora, per spese palesemente inconferenti, per spese private, per spese duplicate, così occultando la reale destinazione delle risorse, pur nella evidenza del discostamento dalle pubbliche finalità. Emblematico è il caso del consigliere Adamo, che versava somme a un’associazione per svolgere tutta una serie di attività, poi ottenendo ulteriori somme per la copertura di spese effettuate in favore dei singoli componenti della stessa (associazione), senza che nessuna contestazione sia stata mai operata dal capogruppo (Bova), né un rilievo o una richiesta di restituzione, anzi lasciando al consigliere uno spazio tale da consentirgli di aprire un proprio conto corrente per incassare i rimborsi».
E ancora: «Non è indifferente che Adamo stipuli un contratto quale delegato del capogruppo Bova (anche se la delega non è stata rinvenuta dalla polizia giudiziaria tra gli atti acquisiti ed esaminati) il cui contenuto era chiaramente evocativo di attività squisitamente politiche e di promozione della persona del politico piuttosto che relative all’attività istituzionale dallo stesso svolta quale componente del gruppo Misto, e che i costi, sostenuti dall’associazione per eseguire il contratto, pur dovendosi ritenere compresi compresi nel compenso stabilito. Venivano del tutto indifferentemente rimborsati senza richiesta di alcuna spiegazione da parte di Bova. Proprio la condotta di falso che connota tutte le annualità di interesse – correttamente contestata in capo a coloro che, nella loro qualità di pubblici ufficiali addetti all’amministrazione delle risorse destinate al gruppo consiliare dalla Regione, hanno attestato il falso, sia con riferimento alla correttezza e conferenza delle spese sostenute, sia con riferimento ai residui di cassa dichiarati, avuto riguardo alla circostanza che quella dei fondi erogati ai gruppi consiliari è una delle poste da considerare nella predisposizione del documento contabile poi sottoposto all’Assemblea per la votazione – è anche nel dimostrare la consapevole volontà di concorrere nell’abuso del finanziamento, attraverso questo metodo si avallavano spese estranee all’attività istituzionale di cui era evidente la portata distrattiva (ancora una volta è esemplificativa la situazione di Adamo e in parallelo del capogruppo Bova, che di fronte a spese inutili, private ed eccessive, ha continuato a trasferire le somme al citato consigliere anticipatamente e successivamente. In questo, ma anche in tutti gli altri casi attenzionati dal pm, non c’è spazio per comportamenti colposi, per margini di errore, per incertezze tra la destinazione data in concr
eto alle somme e la destinazione normativamente stabilita». Fin qui il gip.
Annotazione finale. Adamopoli, degenerazione di “Rimborsopoli” e viceversa, potevano concretizzarsi senza un sistema compiacente? No, e infatti traspaiono nelle pagine dell’ordinanza e nelle richiamate intercettazioni telefoniche, i nomi di funzionari pubblici, dirigenti, contabili, sindacalisti che hanno facilitato il drenaggio di risorse pubbliche per finalità personali, o peggio, private. Compaiano anche un paio di giornalisti. Del resto l’indagine – lo abbiamo ricordato – riguarda altre decine di persone oltre le 31 disvelate dall’ordinanza. Ecco, forse sarebbe il caso che chi sa, perché lo sa, di essere oggetto di quelle poco illustri citazioni si astenga dal trattare argomenti dell’indagine stessa. Almeno questo ci regali l’informazione calabrese: non può essere il pescivendolo a dirci che il pesce è fresco.
Paolo Pollichieni
direttore@corrierecal.it
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