REGGIO CALABRIA Svolta inattesa al processo Congiusta. Potrebbe tornare a far parte del materiale probatorio accumulato contro Tommaso Costa – considerato dalla procura il mandante dell’omicidio del giovane imprenditore sidernese – quella corrispondenza che la Cassazione aveva dichiarato inutilizzabile, ordinando ad una nuova Corte d’Assise d’Appello di riesaminare la posizione del boss, in precedenza condannato all’ergastolo. La procura generale ha infatti presentato un’eccezione di legittimità costituzionale in relazione alla norma che vieta di utilizzare in giudizio le missive che capi e gregari inviano dal carcere. Perché – hanno chiesto il pg Domenico Galletta e il pm Antonio De Bernardo, applicato in appello – è possibile utilizzare le intercettazioni disposte a carico dei detenuti, ma non le missive, a meno che l’imputato non sia stato avvertito del controllo della corrispondenza epistolare? Non è forse una violazione del principio costituzionale dell’imparzialità della legge? Una questione su cui la Corte sarà chiamata a pronunciarsi il prossimo 8 febbraio, quando i giudici comunicheranno se l’eccezione è meritevole del vaglio della Corte Costituzionale.
Per l’accusa quelle missive sono fondamentali perché è lì che emergono in maniera chiara alcuni riferimenti al possibile movente del delitto Congiusta. L’ipotesi ritenuta più consistente dall’accusa e dai familiari del giovane ucciso riguarda l’estorsione – questa sì confermata anche dalla Cassazione – perpetrata dal boss a danno di Antonio Scarfò, suocero di Gianluca. Per il clan, quella notizia non doveva essere diffusa mentre, sottotraccia, il boss Costa si muoveva per strappare ai rivali Commisso l’egemonia criminale, conquistata negli anni sanguinosi della faida di Siderno. Una guerra che aveva visto la famiglia Costa perdere uomini, territorio e ricchezze, ma non soccombere, tanto da potersi ripresentare anni dopo con il volto e la mente di Tommaso Costa, determinato a tessere una rete di alleanze con i clan emergenti, destinata a mettere in difficoltà la consorteria rivale. Una strategia segreta, e che tale doveva restare, fino a quando il nuovo cartello non fosse stato pronto allo scontro. Per questo la determinazione di Gianluca a rivelare il contenuto della lettera estorsiva, inviata dai clan dell’emergente cartello al suocero, andava fermata. Per questo Gianluca doveva essere eliminato. I Commisso non potevano e non dovevano capire cosa Costa stesse architettando, ma soprattutto nessuno, nel regime di terrore imposto dall’emergente boss, doveva osare trasgredire il suo volere. Per questo, la sera del 24 maggio del 2005 Gianluca Congiusta è stato ucciso con un unico, devastante, colpo di pistola alla testa. Una tesi ricostruita in anni di lunghe e minuziose indagini dalla Dda di Reggio Calabria che ha convinto tanto i giudici di primo come di secondo grado, ma non ha superato lo scoglio della Cassazione.
a. c.
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