REGGIO CALABRIA C’era anche Totò Cuffaro a “tifare” per un ritorno in politica dell’ex ministro Claudio Scajola, esiliato ai margini dell’agone dopo aver scoperto di aver acquistato «a sua insaputa» una casa nei pressi del Colosseo. A svelarlo è una lettera rinvenuta nel maggio 2014, quando gli investigatori della Dia, dopo aver stretto le manette ai polsi dell’ex ministro, si presentano a casa sua con un mandato di perquisizione. Tra le carte conservate nel suo studio a Villa Ninina, gli investigatori trovano una copia della missiva che Scajola scrive a Cuffaro, all’epoca detenuto a Rebibbia per una condanna a 7 anni, rimediata per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio.
«SCUSA IL RITARDO» «Solo ora riesco a risponderti – si legge nella lettera vergata da Scajola – mi ha fatto enorme piacere riceverla, è la lettera più importante e più sincera che ho letto. La tengo sulla mia scrivania dal 29 gennaio, ogni tanto la rileggo e poi ogni volta rimando la risposta perché non mi sento all’altezza della tua profondità di sentimento». A quanto pare però, il 9 aprile l’ex ministro trova il coraggio ed il tempo per rispondere al collega di partito detenuto e metterlo al corrente delle novità. Scajola non entra in dettagli, ma dalla lettera traspare come per lui quello sia un periodo tutt’altro che semplice.
ONORI E ONERI Da mesi – ha ricostruito l’indagine Breakfast, che sui movimenti dell’ex ministro si è concentrata – deve seguire i movimenti di Chiara Rizzo, la moglie di Amedeo Matacena, già da qualche tempo latitante in Libano. È stato lui stesso – si è fatto scappare l’ex ministro al telefono con la sorella Esa – ad affidargliela. E in quei mesi la Rizzo, secondo gli investigatori, aveva un compito: occuparsi degli affari – segreti – di famiglia, sbloccare i conti esteri e procurare un esilio sicuro al consorte grazie a contatti e relazioni dell’ex ministro. Incarichi non da poco, per i quali Scajola – che della galassia economica dei Matacena è considerato dal pm Giuseppe Lombardo il consigliori occulto – scomoda tutta la sua rete di contatti e relazioni, assiste la Rizzo come un tutor e macchina con l’imprenditore catanzarese Vincenzo Speziali perché venga concesso al latitante asilo politico in Libano. Ma non è l’unica partita che Scajola ha in ballo.
UN BIGLIETTO PER STRASBURGO In quei mesi, in ballo ci sono i seggi di Strasburgo e soprattutto – ipotizzano investigatori ed inquirenti reggini – i finanziamenti che l’Europa gestisce. E l’ex ministro se la vuole giocare. Il problema – di certo non da poco – è che Silvio Berlusconi, all’epoca dominus indiscusso del Pdl, Scajola in lista non ce lo vuole. Gli scandali a luci rosse che hanno travolto Arcore, le condanne definitive arrivate all’indirizzo di pezzi da novanta del partito come Dell’Utri e lo stesso Cuffaro, l’ascesa dei “giovani leoni” del pugliese Raffaele Fitto, hanno indotto l’ex Cavaliere a depennare dalle liste personaggi mediaticamente ingombranti come Scajola. Nonostante l’assoluzione, lo scandalo della casa comprata “a sua insaputa” ancora fa rumore. E all’epoca, non è certo quello che Berlusconi sta cercando.
«NON SOLO FALCHI E OLGETTINE» Da parte sua, però, Scajola non ha nessuna intenzione di farsi da parte. Lo dice a Speziali, con cui chiacchiera regolarmente, al telefono. Lo scrive a Cuffaro. «Sì è vero, caro Totò – si legge in quella missiva – arranca la politica vera. Anche spinto da te, credendo di trovare buona accoglienza ho deciso di rimettermi in gioco offrendo la mia candidatura alle elezioni europee; per dare un contributo, per nobilitare i tanti moderati, per offrire una varietà di candidature che non ci facessero sembrare solo falchi o solo olgettine!». In realtà Scajola non solo si era reso disponibile. Ma aveva anche iniziato a reclutare sostenitori in Vaticano.
LA BENEDIZIONE Lo racconta lui stesso in una serie di telefonate che seguiranno la cena organizzata con l’aiuto di Giovanni Morzenti, ex presidente della Fisi (Federazione italiana sport invernali) condannato in via definitiva a 4 anni e 7 mesi per concussione, il 17 febbraio a Roma. Quella sera, al tavolo del ristorante “Il cenacolo” siederanno non solo Morzenti, Scajola e Daniele Santucci, in passato socio del figlio dell’ex ministro, quindi inciampato in uno scandalo giudiziario, che di recente gli è costato una condanna a 3 anni per una cresta da 3,7 milioni di euro sui fondi delle affissioni pubblicitarie destinati ai Comuni. Il capolavoro “dell’artista” Morzenti – così lo definirà Scajola – sarà avere come commensali tre nomi che contano in Vaticano.
«OPERAZIONE RIUSCITISSIMA» Ospiti dell’ex ministro la sera del 17 febbraio 2014 – «alle 19,45 perché i prelati mangiano presto» – sono tre cardinali: Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi ed ex braccio destro di Martini a Milano, Giovanni Battista Re, cardinale elettore primo nell’ultimo conclave, ma noto per la clamorosa scomunica di una bimba brasiliana che aveva abortito dopo aver subito una violenza, e monsignor Gaetano Bonicelli, arcivescovo emerito di Siena e amico di vecchia data di Morzenti, con cui condivide il paese natale, una lunga collaborazione, culminata nell’ultraventennale lavoro gomito a gomito al Centro per l’orientamento pastorale, ma anche un’iscrizione nel registro degli indagati per un bonifico da 2,8 milioni di euro partito da uno dei conti aperti dal monsignore allo Ior. «Un’operazione è riuscitissima» commenterà Scajola al telefono poco dopo aver salutato gli illustri ospiti. Ma essenzialmente inutile.
NIENTE DA FARE Ad ammetterlo è lo stesso ex ministro, che quasi con rammarico scrive di essere stato scartato come candidato. «Mi pare che le decisioni che saranno prese nei prossimi giorni saranno per liste chiuse; ed allora la mia presenza arrecherebbe il disturbo di avere forse troppo consenso e quindi di rompere giochi già precostituiti» scrive Scajola, che aggiunge: «Accetterò anche questa umiliazione e poi dopo si vedrà … spero anche insieme a te!». All’ex ministro poco importa che il collega di partito sia stato condannato per i rapporti fin troppo cordiali con Cosa Nostra, cui ha spifferato anche informazioni riservate. In futuro – gli promette – lavoreranno insieme. A cosa non è dato sapere. Anche perché, lo stesso Scajola, in quel periodo, non sembra avere le idee troppo chiare sul cammino che si trova davanti.
CORPI E ANIME «I tempi che viviamo, come dici tu – si legge nella mail inviata a Cuffaro – sono particolarmente difficili. La crisi economica morde tutte le famiglie e la crisi dei valori è ancora peggio. L’uomo diventa più cattivo in qualunque luogo operi e Tu lo sai ancora meglio di me. Manca il rispetto. La comprensione. Figuriamoci l’amore verso gli altri! Avrei voluto venirti a trovare ma non essendo più deputato non mi è permesso. Cercherò comunque una strada. Non so se ci sarà ancora un mio futuro in politica e nelle istituzioni. Se ci sarà terrò sempre a mente la tua frase “ho capito vivendolo che il carcere non è storia di corpi ma soprattutto storia di anime”». Meno di un mese dopo, quando la Dia gli stringerà le manette ai polsi per ordine del gip di Reggio Calabria – avrà modo di verificarlo di persona.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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