REGGIO CALABRIA Il gup di Catanzaro Pietro Scuderi ha assolto perché «il fatto non sussiste» il procuratore generale della Corte d’Appello di Roma Francesco Mollace. Si chiude dunque con un’assoluzione tombale e si risolve in una bolla di sapone il fascicolo a carico del pg della Corte d’appello di Roma, nato in seguito alla trasmissione degli atti chiesta dal pm Beatrice Ronchi – e conformemente disposta dal Tribunale – in seguito alla posizione del pg Mollace in veste di testimone al processo contro i Lo Giudice.
Secondo le accuse della Procura di Reggio, condivise in seguito dai colleghi di Catanzaro cui è stato trasmesso il fascicolo, Mollace avrebbe in qualche modo favorito gli affliati al clan Lo Giudice omettendo di svolgere attività investigativa per verificare le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Maurizio Lo Giudice e Paolo Iannò sulla «pervicacia ed esistenza della famiglia Lo Giudice quale cosca operante nel territorio reggino». In particolare, non avrebbe riaperto le indagini sull’omicidio della moglie del boss Pietro Lo Giudice, Angela Costantino, nonostante i nuovi elementi forniti dai due pentiti. In cambio, stando sempre alle ipotesi formulate dai magistrati catanzaresi, Mollace avrebbe ottenuto la «dazione gratuita dei servizi di manutenzione e rimessaggio» di una barca ormeggiata nel cantiere gestito da quello che il pm Beatrice Ronchi considerava prestanome dei Lo Giudice, Antonino Spanò, recentemente assolto con formula piena dalla Corte d’appello di Reggio Calabria.
Una pronuncia che ha seguito quella emessa dal gup Carlo Saverio Ferraro, che il 4 febbraio scorso aveva già prosciolto perché il fatto non sussiste lo stesso Spanò e Luciano Lo Giudice, indagati insieme a Mollace. Tutte sentenza che ridisegnano in maniera profonda il quadro fino ad ora emerso sul clan Lo Giudice. Il castello accusatorio che ha tentato di identificare il pg Mollace come referente istituzionale del clan Lo Giudice si è sciolto come neve al sole, così come non hanno mai portato a nulla le dichiarazioni del collaboratore Nino Lo Giudice, che in passato aveva evocato ombre sull’attività di Mollace, salvo poi pentirsi di quelle affermazioni, allontanarsi dal programma di protezione e smentire tutto quanto in precedenza affermato in due scottanti memoriali, che – al pari della fuga del pentito – sono ancora oggetto di indagine da parte di diverse procure. Tutti elementi che il pg Mollace ha ricordato nelle dichiarazioni spontanee che oggi ha voluto fare di fronte al gup, mettendo in fila gli elementi pazientemente raccolti durante gli ultimi anni.
«UNA MACCHINAZIONE» «Oggi come negli anni passati ho l’obbligo della cautela e del riserbo. Ho altresì l’obbligo del rispetto per i giudici di Catanzaro che dovranno motivare le assoluzioni. Avverto però la necessità di evidenziare che finalmente un giudice lontano da Reggio Calabria, ha certificato che io non ho mai avuto nulla che vedere con il caso Lo Giudice. Cosa che ho sempre reclamato a gran voce fin dal 2010». Sono le prime parole di Mollace in relazione all’assoluzione disposta stamani nei suoi confronti dal gup di Catanzaro nel processo che lo vedeva imputato di corruzione in atti giudiziari. «Stamani, in aula – ha aggiunto Mollace – ho reso dichiarazioni che ho preteso venissero secretate. Ho provato e documentato macchinazioni e falsi plateali a mio danno. È stata perfino spostata la mia presa di possesso alla Procura generale di Reggio Calabria, così come sono stato collocato in un determinato giorno a Reggio Calabria mentre ero ufficialmente a Roma in audizione al Csm. Queste e altre falsità purtroppo sono contenute in una sentenza emessa in nome del popolo italiano. Purtroppo ho dovuto denunciare che per la vicenda relativa alla scomparsa di Angela Costantino (moglie di Pietro Lo Giudice, ndr) è stata persino nascosta un’informativa pur di creare sospetti a mio carico».
«Non spetta a me – ha detto ancora il magistrato – dare un volto ai responsabili di questa macchinazione, ma aspetto con fiducia che ciò venga fatto al più presto nelle sedi competenti. Per quanto mi riguarda, ribadisco di non avere mai commesso alcuna irregolarità o abuso. La Dda di Reggio Calabria, quand’era diretta da Salvatore Boemi e della quale mi onore di avere fatto parte unitamente a colleghi valorosi come Giuseppe Verzera, Roberto Pennisi, Alberto Cisterna, Nicola Gratteri e Fulvio Accurso, ha condotto centinaia di battaglie giudiziarie con le sole armi della dignità e della legalità e non con imbrogli e falsità».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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