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Sgominata a Reggio la banda del tarocco

REGGIO CALABRIA A rimpiangerlo di più saranno probabilmente le signore della Reggio bene. Quelle che a suon di acquisti tengono in piedi i pochi negozi di alta moda in città, ma regolarmente si recav…

Pubblicato il: 16/06/2016 – 12:51
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Sgominata a Reggio la banda del tarocco

REGGIO CALABRIA A rimpiangerlo di più saranno probabilmente le signore della Reggio bene. Quelle che a suon di acquisti tengono in piedi i pochi negozi di alta moda in città, ma regolarmente si recavano da lui per una borsa o un maglione tarocco che «in un guardaroba di capi firmati mica si vede». Sgattaiolavano al mercato in orario strategico – la mattina presto o verso le due, in modo da non farsi vedere – per poi contendersi scarpe e borsette. Adesso però non potranno farlo più. Perché Giulio – al secolo Lo Mocouna, italiano di origine senegalese – è finito dietro le sbarre.
L’uomo divenuto quasi un brand del “taroccato di qualità” – a Reggio non è per nulla raro ascoltare qualcuno che chiede «ma è vera o è di Giulio?» – per gli inquirenti è il capo di una industria della contraffazione, che ha inondato i mercati della provincia reggina di capi e accessori d’abbigliamento taroccati. Insieme a lui sono finiti in carcere anche il napoletano Giovanni Capone, il reggino Giuseppe Spatari, il senegalese Malick Gaye El Hadji e gli indiani Jaspal Singh e Rajinder Singh. Ai domiciliari sono stati messi invece l’ucraina Ganna Krutko, i reggini Stefano Eranò e Demetrio Periti, i marocchini Fatiha Khtibari fatiha e Mohammed Kadiri, l’egiziano Nabil al Hassan, il tunisino Abdelhamid Farhat e i senegalesi Mamadou Moustapha Sarr e Ndoye Samba Ndoye.
Per gli inquirenti erano tutti a vario titolo coinvolti nella gigantesca industria della contraffazione messa in piedi da Giulio e Spatari, grazie ad una serie di opifici attrezzati con moderni macchinari industriali per mezzo dei quali era possibile imprimere i marchi delle griffe di moda direttamente sui capi.
«I materiali di base – ha spiegato il procuratore capo della Dda, Federico Cafiero de Raho – provenivano da Hong Kong, dalla Cina e dalla Romania. Successivamente erano riconfezionati con i marchi di case di moda molto note a livello internazionale impressi a caldo con apposite piastre metalliche per renderle indelebili. Un “valore aggiunto”, oserei dire – ha ironizzato il magistrato – una replica del prodotto quasi identica agli originali». Uno dei laboratori è stato scoperto nei mesi scorsi dai Baschi verdi della Guardia di Finanza, che hanno portato avanti l’indagine fino a ricostruire l’intera organizzazione, che era in grado di rifornire gran parte dei mercati della provincia, come di soddisfare anche ordini commissionati da clienti operanti fuori dal territorio cittadino. Dagli approfondimenti investigativi è emerso anche che gli indagati utilizzavano opifici in parte completamente clandestini ed in parte legittimi e conosciuti al fisco – uno di questi aveva anche la partita Iva – operanti in violazione delle norme sui diritti di proprietà industriale, in quanto risultati sprovvisti di qualsiasi tipo di autorizzazione e della licenza di rivenditore ufficiale.
«Erano il fulcro di un vero e proprio mercato parallelo del falso di enormi dimensioni e in grado di compromettere seriamente i canali leciti di riferimento», ha detto il comandante provinciale della Guardia di finanza, colonello Alessandro Barbera.
Chi ne ha fatto le spese sono stati case d’abbigliamento, e consumatori finali, quelli che i quali hanno comprato prodotti scadenti e, talvolta, pericolosi per la salute. Fra i beni sequestrati, 3 immobili; 7 autovetture; 18 macchinari industriali; disponibilità finanziarie intestate ai destinatari delle misure cautelari.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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