Lo Giudice: «Ecco perché sono fuggito dal luogo protetto»
REGGIO CALABRIA Sequestrato, intimidito e minacciato da uomini misteriosi per indurlo a ritrattare quanto dichiarato su Giovanni Aiello, terrorizzato al punto da rendersi latitante. Così Nino Lo Giud…

REGGIO CALABRIA Sequestrato, intimidito e minacciato da uomini misteriosi per indurlo a ritrattare quanto dichiarato su Giovanni Aiello, terrorizzato al punto da rendersi latitante. Così Nino Lo Giudice spiega ai pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Giuseppe Lombardo la sua fuga dal sito protetto nel 2013, interrotta qualche mese dopo dal suo arresto a Reggio Calabria.
LA CONVOCAZIONE IN DNA Una storia complessa, ingarbugliata, tutta ancora da chiarire, ma che “il Nano” racconta in dettaglio e tenta di spiegare a partire dalla convocazione ricevuta dall’allora procuratore della Dna, Gianfranco Donadio. «Vengo convocato alla Dna – dice il pentito – (dal) dottore Donadio». L’argomento è Giovanni Aiello, già all’epoca sospettato numero uno nell’indagine su Faccia di mostro, il killer di Stato indicato da più pentiti come responsabile di un’infinita serie di omicidi eccellenti, da quello del poliziotto Nino Agostino alla strage di via D’Amelio. Donadio – racconta Lo Giudice – «mi fa tutta una serie di domande su Aiello, se lo conoscevo, come l’ho conosciuto ecco, che rapporti eravamo… e per quel giorno abbiamo chiuso in quel modo, però onestamente io molte cose le avevo lasciate sospese, non mi non mi fidavo ancora del dottore».
LE FOTO DI FACCIA DI MOSTRO In quell’interrogatorio però il pentito si fa scappare un dettaglio che poi si pente di aver rivelato. Sostiene di essere in possesso di alcune fotografie di Aiello, commissionate ad Antonio Cortese, condannato come artificiere del clan Lo Giudice e nel 2007 incaricato di seguire e studiare l’ex poliziotto. Stando ai racconti di Lo Giudice, all’epoca Aiello avrebbe contattato il suo clan, presentandosi come uomo dei servizi segreti, per acquistare una partita di armi. Il “Nano”, ai tempi al vertice della famiglia, non si fida, lo fa seguire e fotografare, poi conserva quegli scatti di cui nel 2012 parla a Donadio. Sono prove importanti per il sostituto della Dna, che per questo chiede al pentito di consegnargliele. Ma Lo Giudice ha paura.
L’INGANNO DI LO GIUDICE Per questo, quando su incarico del magistrato si presenta «un’auto con tre persone a bordo» decide non solo di giocare un brutto tiro al sostituto della Dna, ma anche di documentarlo. «Registro io tutto, registro tutto, da quando esco … Da quando esco dalla Dna, fino a che io gli consegno … fino a che arrivo a casa registro tutto quello che accade perché mi sono spaventato» dice il pentito ai tre pm. «Faccio le fotocopie delle buste che ho mandato al dottore Donadio, registro tutto in pratica, anziché mettere le foto nella busta prendo un paio di fogli della … tipo questi qua, li piego e li meno là dentro, li sigillo, li scrivo, riprendo tutto, registro e vado giù». In sintesi, invece di consegnare le fotografie di Faccia di mostro, Lo Giudice invia al sostituto della Dna dei fogli bianchi chiusi in una busta, che poi sigilla e consegna agli uomini inviati per ritirare la documentazione. Loro non possono verificare cosa il pentito abbia mandato al magistrato perché – chiarisce Lo Giudice – « le buste sono chiuse dentro una valigetta, chiusa a chiave, sigillata». I problemi arrivano qualche mese dopo.
PRELEVATO Lo Giudice riceve una nuova convocazione dalla Dna, ma sostiene di star male e non si presenta, come più volte ha fatto in occasione di udienze “difficili”. «A gennaio- febbraio – ricostruisce il collaboratore – la mia compagna parte per il Marocco e io rimango a casa da solo. Un mattino esco e durante il tragitto vengo prelevato da due persone che si presentano come carabinieri e mi portano in un’altra località». Un episodio che a grandi linee aveva raccontato anche nel memoriale inviato durante la latitanza, omettendo però i dettagli che nel corso dell’interrogatorio del 3 maggio scorso rivela ai pm. «Lì ad aspettare c’era un’altra macchina con due persone, mi fanno salire sulla macchina e questo davanti.. io non vedo in faccia chi parla… dice: allora Lo Giudice, andiamo al succo del discorso, lei alla Dna che cosa ha dichiarato, lei conosce Aiello, come lo conosce, quando lo ha conosciuto Aiello, insomma, si rende conto che cosa ha fatto?».
«DIMENTICATI FACCIA DI MOSTRO» Lo Giudice è spaventato, racconta che l’uomo avrebbe continuato a minacciarlo, dicendogli «noi sappiamo tutto, quindi stai attento quello che fai, allora, ti do un consiglio, ti devi cancellare dalla mente Aiello». Il pentito cede subito alle minacce, rivela di non aver consegnato nulla e di poterlo provare con le registrazioni che ha fatto. «Ho cercato di salvarmi, dottore Di Matteo» dice quasi implorante Lo Giudice. Al sostituto di Palermo, come agli altri due pm presenti all’interrogatorio spiega di aver invitato quegli uomini misteriosi a seguirlo a casa, in modo da fornire loro i video registrati mesi prima, in seguito al colloquio con Donadio. Un modo – afferma Lo Giudice – per far capire «che io non c’entravo niente». E aggiunge «in quel momento… ho detto: e come fanno a sapere tutte queste cose? Perché lui m’ha detto: hai fatto delle dichiarazioni così, così … sapevano tutto! Ho detto: e io allora qua di chi mi devo fidare più, di chi mi devo fidare? Mi ammoniscono, dice: devi trovare il modo di ritrattare, tu Aiello non lo hai mai conosciuto, devi dire che non lo hai mai conosciuto, devi ritrattare, ti devi cancellare Aiello, devi trovare il modo. Lo accompagno, gli do tutte queste cose e se ne vanno, dice: ci vediamo … mi hanno detto: ci vediamo. Prima che se ne vanno dice: non aprire a nessuno, stai attento».
I TIMORI DEL NANO Una minaccia velata che aumenta i timori di Lo Giudice e rende angoscianti le sue giornate. AI magistrati che lo ascoltano racconta di aver iniziato a notare soggetti strani attorno alla sua abitazione, di essere stato contattato da due uomini che si sono qualificati come agenti del Servizio centrale di protezione, fuggiti quando lui ha minacciato di chiamare la polizia, di una paura diventata così ingestibile da indurlo a contattare nuovamente la sua famiglia d’origine, con cui aveva tagliato ogni rapporto fin dall’inizio della collaborazione. Alla fine, dice «non ce l’ho fatta più, sono scappato, sono scappato e me ne sono andato a Reggio Calabria – dice il pentito – e ho iniziato, anche da latitante a collaborare, collaboravo con loro, dottore Lombardo».
MISTERI Chi siano questi “loro” Lo Giudice non lo spiega, così come non sembra in grado di spiegare che fine abbiano fatto le famose fotografie che avrebbero provocato tutti i suoi guai. Al riguardo, racconta di aver fatto resettare il computer dopo aver copiato l’intero contenuto su un hard disk esterno, ma «(quando) me lo danno, vado a trovare queste fotografie e non le trovo più! E che dovevano essere sull’hard disk a quel punto! sull’hard disk, quello, quello lì che mi avete trovato addosso». Peccato che sul quel device – a quanto pare – le foto non siano state trovate, quanto meno per il momento. Un mistero, uno dei tanti che accompagna la collaborazione di Lo Giudice, sul quale ancora si continua ad indagare.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it