REGGIO CALABRIA Ci sono i soldi che arrivano dalla coca, l’omertà, la paura e la sopraffazione che sono il marchio di fabbrica dei clan, dietro l’Expo di Milano. Lo hanno scoperto i magistrati della Dda di Reggio Calabria, seguendo le tracce lasciate tra Milano e Brianza da Antonio Stefano, luogotenente del clan Aquino-Coluccio, perno dei giganteschi traffici di droga con testa nella Locride e tentacoli in tutto il mondo, ma anche mente del reinvestimento dei giganteschi guadagni illeciti che quei traffici generano. Denaro sporco che con l’assenso dell’imprenditore bergamasco Pierino Zanga, è finito nella pancia della Infrasit e delle sue collegate, tutte finite sotto sequestro, insieme ad appartamenti, locali, autoveicoli di lusso, motoveicoli e autocarri polizze assicurative e conti correnti bancari e postali, sparpagliati fra Reggio Calabria, Catanzaro, Catania, Bergamo, Bologna, Brescia e Mantova. Tutti beni del valore di 15milioni di euro, sequestrati oggi dai finanzieri di Reggio Calabria perché riconducibili ai clan Aquino Coluccio e Piromalli Bellocco. Una joint venture di ‘ndrine, che nascoste dietro società apparentemente impeccabili sono nel tempo divenute motore di appalti importanti, come i padiglioni della Cina e dell’Ecuador, delle opere di urbanizzazione e delle infrastrutture di base nella fiera Expo 2015, del subappalto per la società Ferrovie del Nord, dell’ipermercato di Arese e del consorzio di Bereguardo. E non solo.
I clan investivano anche all’estero. Grazie alle medesime società, sono stati realizzati un immobile in Marocco, un complesso turistico-sportivo, ad Arges Pitesti, in Romania e il resort Molivişu, realizzato anche grazie a un finanziamento europeo di 27 milioni di euro.Affari importanti, tutti riconducibili al luogotenente degli Aquino Coluccio e ai suoi uomini, collocati nel board delle società della galassia che un tempo faceva capo all’imprenditore bergamasco Pierino Zanga e poi è servita a nascondere i clan.
A svelarlo è stata l’indagine Rent, naturale approfondimento e prosecuzione dell’operazione Underground, eseguita ad inizio ottobre dalla Finanza, su richiesta della Dda di Milano. All’epoca, in manette erano finiti, Graziano Macrì, cugino di Antonio Stefano, e il braccio destro di quest’ultimo, Salvatore Piccoli, il suo socio storico Giuseppe Colelli e Giuseppe Gentile, rappresentante degli interessi dei clan della Piana, ma anche diversi colletti bianchi milanesi come l’imprenditore Pierino Zanga, il commercialista Giuseppe Tarantini e Alessandro Raineri, presunto “faccendiere bresciano” accusato anche di diversi episodi di millantato credito. Antonio Stefano, già dietro le sbarre perché arrestato nell’ambito dell’operazione Acero Krupy, è stato invece raggiunto in carcere da un nuovo provvedimento. Agli arresti domiciliari, invece, erano finiti noti professionisti e manager di grandi nomi dell’imprenditoria milanese, come il dipendente della NordIng, Massimo Martinelli, Gianluca Binato, dipendente di della società “Itinera”, e l’imprenditore Livio Peloso.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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