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Il No ha vinto. Ora "pulizia" nel Pd

Un voto «obeso», intendendo per tale un massivo approccio di pancia alle urne che ha condotto alla grande abbuffata del No. Quel No che è simbolo della più solenne bocciatura di Matteo Renzi, che – a…

Pubblicato il: 05/12/2016 – 14:53
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Il No ha vinto. Ora "pulizia" nel Pd

Un voto «obeso», intendendo per tale un massivo approccio di pancia alle urne che ha condotto alla grande abbuffata del No. Quel No che è simbolo della più solenne bocciatura di Matteo Renzi, che – a causa soprattutto della sua strafottenza strutturale – è riuscito a dissolvere l’effetto positivo di alcune cose che ha fatto, ivi compreso l’ottenimento di una maggiore credibilità a livello internazionale. Quel No che ha impronte digitali politicamente confuse e indistinguibili, caratterizzate dall’essere amorevolmente insieme a sostenere il contro a prescindere. Il No vincente – al sud soprattutto sulla ruota di Bari e Napoli – ha, infatti riassunto sotto il suo ombrello i Pd contro-Renzi, con in testa l’arcigno Bersani e l’acidulo D’Alema, i fascisti di ieri e quelli di oggi sino ad arrivare a quei compagni che un dì litigavano persino per chi dei tanti fosse più a sinistra dell’altro. Per non parlare degli urlatori della politica domestica che, giustamente, capitalizzeranno il successo della loro opposizione al Sì.
Sta di fatto che Renzi ha perso e, conseguentemente, non è più premier. Il giudizio sulle colpe e sui meriti impegnerà l’informazione dei prossimi giorni. Il rischio è il vuoto governativo e il pericolo che esso determina. Abbiamo perso esattamente sei anni di tempo, siamo tornati al 12 novembre 2011, quando Berlusconi si è dovuto mettere da parte perché il debito pubblico non era più sostenibile. Un gap che, di qui a poco, si ripresenterà come attuale e di difficile soluzione, attesa la brusca interruzione delle riforme in essere, apprezzate nel Paese e fuori, e ai consensi strappati a livello comunitario. Insomma, a Renzi è arrivata una «Trumpata» in faccia da mandarlo ko. E dire, che lo stesso giorno abbiamo avuto modo di registrare una lezione di democrazia dai vicini austriaci che hanno premiato il candidato che fondava il loro futuro su una Unione Europea, sempre più intensa e attrattiva di una politica reale comune.  
In conclusione, dalle urne è uscita una schiacciante sconfitta del premier/segretario del Pd. La lettura dell’esito sarà oggetto di tantissime analisi, la maggior parte delle quali tese a dimostrare la bocciatura definitiva di Matteo Renzi, la sua uscita dallo scenario politico. Una operazione non facile a digerirsi dentro e fuori dal partito, ma soprattutto a livello di convivenza comunitaria, ove il guascone toscano ha assunto una credibilità non di poco conto. 
Le analisi serviranno soprattutto al Pd per comprendere la propria identità, francamente messa in discussione, e di conseguenza la sua presenza nel Paese.
La distribuzione del voto la dice lunga. Il Sì ha perso ovunque, anche nelle sue roccaforti, intendendo per tali le regioni ove aveva una presenza politico-istituzionale predominante, del tipo il Friuli-Venezia-Giulia ove ha registrato un consenso nettamente al di sotto del 40%. Ma anche in Campania ove rimedia una figuraccia così come avvenuto nella nostra regione.
Ora toccherà ai processi politici. 
Al segretario non più premier, per avere tentato il vilipendio costituzionale nel pretendere: a) l’istituzione di un Senato delle Autonomie, con il voto concesso agli under 25enni, ove dirimere i problemi annessi ai riparti delle risorse fino ad oggi gestiti dal quel mostro che è il sistema delle Conferenze, generoso nell’ospitare in quel di Roma amici e amiche in fuga, spesso furtiva, dai loro territori; b) un’assistenza sociale finalmente regolata uniformemente; c) una sanità più eguale con i Lea definiti non solo sotto il profilo teorico bensì resi concretamente attuativi attraverso disposizioni generali e comuni, funzionali a fare cessare l’emigrazione per la salute; d) una metodologia di finanziamento fondata finalmente sui costi/fabbisogni standard che mandi in soffitta la spesa storica che ha ucciso il Sud; e) la soppressione delle Province e del Cnel fonti di sprechi e disagi; f) l’introduzione in Costituzione dei criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori strumentali ad obbligare la pubblica amministrazione ad assumere atti di risultato pena il doverne rispondere avanti la magistratura, anche contabile.
Poi ci saranno i processi in casa nostra, ove il Sì ha registrato una disfatta, l’ultima dopo le sconfitte collezionate nei capoluoghi (che rimarranno di provincia) confermati dagli avversari ovvero passati al «nemico». Qui dovrà farsi pulizia, mandando a casa chi non è più credibile da tempo, ove mai lo fosse stato.
In tutto questo gioco processuale, sarà simpatico vedere chi si trasformerà da accusato ad accusatore. Il tutto al grido ipocrita, è morto il re, viva il re! La coerenza non è di tutti.

*Docente Unical

 

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