REGGIO CALABRIA Un Giano bifronte, capace di infettare la grande distribuzione statunitense con olio contraffatto, ma che a Gioia Tauro continua ad usare le armi per difendere interessi e territorio. È questa la fotografia dinamica del clan Piromalli scattata dall’inchiesta Provvidenza, l’indagine coordinata dai pm Roberto Di Palma, Matteo Centini, Luca Miceli e Giulia Pantano, che oggi ha portato al fermo di 33 persone.
IL REGGENTE Fra loro c’è anche Antonio Piromalli, rampollo dell’omonimo casato di ‘ndrangheta, assurto al ruolo di reggente per ordine del padre, Pino “Facciazza”, da tempo detenuto al 41 bis. Un regime carcerario che non gli ha impedito di dettare le strategie economiche, imprenditoriali e criminali del clan, diligentemente messe in pratica dal figlio. Per ordine del padre, Piromalli jr si è trasferito a Milano e lì ha ricostruito la testa di un clan, il cui cuore continua a battere a Gioia Tauro. «Quella di Antonio Piromalli è stata una scelta strategica, dettata dalla volontà di allontanarsi dalle attenzioni investigative, come dalle pressioni degli altri clan» spiega il procuratore capo Federico Cafiero de Raho.
I CONFINI DELL’IMPERO Sotto la Madonnina, il rampollo dei Piromalli ha costruito un impero finanziario che si estendeva a Est fino a Timisoara ed Oarja, lungo le rotte commerciali degli agrumi, e ad Ovest fino agli scaffali statunitensi dei Walmart, la più grande rete della distribuzione alimentare al dettaglio, e dei Costco, il gigante dell’ingrosso a stelle e strisce. «Ci siamo trovati di fronte ad una famiglia nuova e vecchia allo stesso tempo» dice il generale Giuseppe Governale, a capo dei Ros, che per primi hanno creduto in questa indagine, dedicandole persino una task force. I Piromalli oggi hanno saputo interiorizzare quasi del tutto la violenza che sono stati in grado di esprimere nel corso della loro storia, rendendo suadente anche per gli imprenditori del Nord». Lì dove la ‘ndrangheta sta pericolosamente diventando un brand che è sinonimo di solidità e solvibilità economica. Lì dove non c’è settore che non siano riusciti ad infettare.
LA HOLDING PIROMALLI Grazie ad una galassia di società intestate a prestanome, ma che di fatto governava, Antonio Piromalli gestiva un impero in grado di investire nei più diversi settori commerciali. Quarantaquattro anni, faccia pulita e anonima, una cravatta all’occorrenza e la consapevolezza di amministrare un impero, il rampollo dei Piromalli aveva messo le mani sul mercato ortofrutticolo, sull’edilizia, sulla distribuzione alimentare, sul turismo, sui grandi centri commerciali, sull’abbigliamento. «Aveva persino messo gli occhi su una palestra con un fatturato da un milione e mezzo l’anno – aggiunge Cafiero de Raho – come su una società che commercializzava auto a livello internazionale». Interessi diversi che il rampollo dei Piromalli, insieme al cognato e luogotenente Francesco Cordì, ha saputo distribuire fra cognati e fedelissimi.
RAMI D’AZIENDA A Nicola Rucireta è toccato il turismo. È stato lui a strappare milionarie commesse a grandi gruppi come Club Med, Valtour e Alpitour, i cui massimi vertici sono stati convinti ad affidare forniture e servizi ai clan grazie a sostanziose tangenti. A Pasquale Guerrisi, una vecchia conoscenza della Dda, era invece affidato il coordinamento delle attività del clan nell’edilizia, come le “pubbliche relazioni” con gli altri clan della Piana di Gioia Tauro. Francesco Pronestì si occupava invece tanto del settore abbigliamento, permettendo al clan di aprire in diversi centri commerciali punti vendita di noti marchi come Celio e Jennifer, come della commercializzazione degli agrumi tanto all’ortomercato di Milano, come nell’est Europa.
TESTA DI PONTE L’uomo dei Piromalli a New York invece era Rosario Vizzari, amico d’infanzia di Antonio Piromalli, diventato il suo braccio economico negli Usa. «Abbiamo dovuto tenere riservata quest’indagine fino all’ultimo – spiega Cafiero de Raho – perché Vizzari è uomo dalle molte conoscenze e avremmo corso il rischio di vedere vanificati molti sforzi”. Figlio della Gioia Tauro bene, ma fin dall’infanzia vicino a Piromalli, Vizzari era stato spedito dalla famiglia negli Stati Uniti per evitare che facesse una brutta fine. Obiettivo non raggiunto. «È lui a curare – spiega il generale del Ros, Giuseppe Governale – i contatti con la Olive oil company, come con le mafie del New Jersey, di Detroit, di Chicago e di Boston».
DALLA PIANA AI WALMART Secondo quanto emerso dalle indagini, è lui la testa di ponte della cosca negli Usa, dove è titolare o socio e amministratore di una miriade di società di diritto statunitense e italiano, tutte riconducibili alla cosca Piromalli, ma a lui fittiziamente intestate come Global Freight Services Inc, Global Freight Services srl, Avant Gard Sales and Marketing, Linro Inc., Madoro Usa Inc., Freight Brokers Corporation. Società diverse, ma tutte funzionali alla gigantesca truffa che i Piromalli hanno organizzato sulle spalle dei consumatori statunitensi.
Formalmente, le ditte di Vizzari importavano extravergine d’oliva. In realtà si trattava di olio di sansa, comprato a prezzi stracciati in Grecia, Turchia e Siria, lavorato a Gioia Tauro e poi spedito negli Usa, dove passava la dogana come olio di sansa, per poi essere rietichettato come olio “Bel Frantoio”, extravergine di origine italiana.
ISTRUTTORIA APPROFONDITA Protetto dalle leggi statunitensi, Vizzari per adesso è sfuggito alla cattura. «Abbiamo spiegato all’Fbi la pericolosità di questa organizzazione anche per il mercato americano e adesso, anche in ragione degli ottimi rapporti che ci sono sempre stati, ci aspettiamo che su di lui si faccia un’istruttoria approfondita» sottolinea Governale. Mentre si attendono novità dagli Stati Uniti, il perimetro delle attività dei Piromalli a Gioia Tauro inizia ad essere delineato in modo chiaro.
IL CUORE NELLA PIANA Se la testa del clan si è spostata a Milano, il cuore ha continuato a battere nella Piana grazie ad affiliati storici e di rango come Girolamo e Teodoro Mazzaferro, quest’ultimo prima arrestato e poi scarcerato per l’omicidio del barone Musco, o Pasquale Guerrisi e Paolo D’Elia. «Si tratta di uomini che nonostante l’0età avanzata – spiega il procuratore aggiunto Gaetano Paci – sono stati concretamente presenti nelle dinamiche criminali e operative, come nella risoluzione dei conflitti fra i clan relativi al mondo degli stupefacenti.
IL NUOVO CENTRO COMMERCIALE Anche perché, il “trasloco” non ha indotto i Piromalli di quanto avvenisse a Gioia Tauro. Al contrario, è nella Piana che stavano procedendo alla costruzione di un nuovo centro commerciale, che avrebbe dovuto sorgere sui terreni sottratti alla famiglia Musco. Un progetto delicato, che avrebbe comportato anche una variazione di destinazione d’uso dei terreni.
FASE 2? Particolare questo, che insieme ad alcune delle poche conversazioni intercettate, ha indotto gli inquirenti a credere che i Piromalli abbiano tentato di inquinare anche le istituzioni locali. «Ma questo sarà un altro capitolo» si lascia strappare il procuratore Cafiero de Raho, «per adesso non abbiamo elementi».
LA POSTA DEI PIROMALLI Consapevoli di essere intercettati i Piromalli hanno infatti rinunciato ai moderni mezzi di comunicazione per tornare ai pizzini. Ma con un sistema di consegna e distribuzione su scala nazionale. Un’intera parte dell’organizzazione era infatti composta da postini, incaricati di recapitare messaggi o imbasciate orali da un capo all’altro della penisola. «Ci siamo trovati di fronte – sintetizza il colonnello Galimberti – ad un’organizzazione imprenditoriale criminale internazionale in cui permangono sistemi di comportamento tipici della ‘ndrangheta di una volta».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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