Lamezia, ecco perché il Comune rischia lo scioglimento
LAMEZIA TERME Il rischio di un terzo scioglimento del consiglio comunale di Lamezia Terme, per infiltrazioni mafiose, dopo lo tsunami politico scatenatosi con l’operazione “Crisalide”, che ha colpito…

LAMEZIA TERME Il rischio di un terzo scioglimento del consiglio comunale di Lamezia Terme, per infiltrazioni mafiose, dopo lo tsunami politico scatenatosi con l’operazione “Crisalide”, che ha colpito il clan Cerra-Torcasio-Gualtieri, diventa ogni giorno che passa ben più di una probabilità ed assume i contorni dell’”atto dovuto”. Nel mirino della Procura distrettuale e della Prefettura di Catanzaro, infatti, non ci sono solo i due ex consiglieri comunali finiti indagati per concorso esterno in associazione mafiosa, ma anche una serie di atti ascrivibili all’amministrazione comunale e le relazioni che con ambienti della ‘ndrangheta lametina sarebbero stati intrattenuti da almeno altri tre consiglieri comunali di maggioranza. Insomma l’iscrizione sul registro degli indagati del vicepresidente del consiglio comunale, Giuseppe Paladino e dell’ex candidato a sindaco Pasqualino Ruberto, sono solo la punta dell’iceberg di un dossier ben più voluminoso e imbarazzante per una coalizione di centrodestra che era sorta all’insegna del recupero della legalità e del contrasto agli interessi criminali. Nel dossier, infatti, trova posto l’arresto, sempre nell’ambito dell’operazione “Crisalide”, con le accuse di detenzione di droga ai fini di spaccio e associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, di Alessandro Gualtieri alias “Baggiano”. Un arresto che fatalmente sposta l’attenzione anche sulla sua fidanzata Marialucia Raso, attuale consigliere comunale di maggioranza, eletta nella lista “Lamezia Unita, Mascaro sindaco”.
C’è poi una serie di candidati non eletti che tuttavia, secondo gli investigatori, testimonierebbero per il solo fatto di avere trovato posto nelle liste dei candidati, il rapporto intrecciato tra la pubblica amministrazione e ambienti mafiosi lametini. Il tutto con la possibilità di condizionare le scelte della pubblica amministrazione, per come dimostrerebbero le pretese di Antonio Mazza, candidato non eletto, di essere assunto alla Sacal, ragione per la quale chiedeva l’intervento del can Torcasio. Oppure Pietro Monterosso, candidato nella lista “Lamezia & Libertà” a sostegno del sindaco Paolo Mascaro che avrebbe chiesto ed ottenuto l’appoggio elettorale di Vincenzo Grande, arrestato con l’accusa di gestire per conto del clan Cerra-Torcasio-Gualtieri il traffico illecito di stupefacenti.
Eppure nonostante la gravità del quadro delineato dall’operazione “Crisalide”, il consiglio comunale non ha ritenuto di avviare una riflessione e anzi ha negato la richiesta di un dibattito invocata dai gruppi di opposizione. Ed ecco che tra gli atti della prefettura finisce anche il j’accuse del consigliere comunale di minoranza Piccioni: «La città vede per l’ennesima volta l’immagine di un’amministrazione forte con i deboli e debole con i forti: che lascia a secco le famiglie anche per morosità lievi e poi ha paura a metterci la faccia e a parlare quando vengono coinvolti in vicende giudiziarie esponenti della sua maggioranza. È avvenuto così ieri con l’operazione “Crisalide”, è avvenuto con la vicenda del padre del presidente del consiglio comunale che mai è stata discussa in aula, nonostante le richieste ripetute dell’opposizione, è avvenuto con la Sacal. Sappiamo benissimo che i processi si fanno nelle aule dove auguriamo alle persone coinvolte di dimostrare la loro innocenza. Ma i nodi politici di vicende delicate, come quelle emerse nei giorni scorsi, devono essere affrontate nell’aula che è la massima espressione della democrazia nella nostra città. Invece ancora una volta ieri ci è stato impedito di discutere».
Piccioni mette in chiaro il rischio che Lamezia corre, ma resta inascoltato: «La posizione del sindaco di fronte ai risvolti dell’operazione “Crisalide”, che sembra seguire la stessa linea dei sindaci che l’hanno preceduto, ci preoccupa. Una posizione negazionista o attendista può aprire scenari davvero drammatici per la nostra città. Ribadiamo che noi non vogliamo e non vorremo mai il terzo scioglimento che sarebbe una tragedia per la città e una sconfitta per la politica, ma chiediamo al sindaco di avere il coraggio di affrontare la questione non con le autocelebrazioni, ma con le scelte politiche e i fatti».
Un atteggiamento “negazionista” quello del sindaco Mascaro che, a giudicare dalle relazioni di servizio redatte dalla polizia giudiziaria e finite nel dossier della prefettura, sarebbe effettivamente testimoniato da una serie di episodi. Alcuni di questi vale la pena di richiamarli. Il 27 gennaio 2015, i dirigenti della Vigor Lamezia, tra i quali vi è ancora Paolo Mascaro, sono promotori di una cerimonia funebre allo stadio per onorare Domenico Maria Gigliotti, imprenditore edile, ucciso sotto casa e bruciato mentre si trovava all’interno della sua auto. La bara del Gigliotti viene portata dentro lo stadio. Secondo le forze dell’oirdine, Domenico Maria Gigliotti, conosciuto negli ambienti malavitosi con il soprannome di “Capellone”, veniva indicato dai collaboratori di giustizia Angelo Torcasio e Cosentino Battista che lo indicano come imprenditore in stretti rapporti con i Giampà. Sottolineando il fatto che la moglie dell’ucciso gestiva un’agenzia di viaggi messa sotto sequestro dalla Guardia di finanza. Eppure le prime avvisaglie sui problemi di tenuta che la sua coalizione dimostrava rispetto alle infiltrazioni della criminalità mafiosa, il sindaco le aveva avute già in campagna elettorale. E qui vengono ricordati due episodi, il primo muove da una inchiesta che reca la firma di Nicola Gratteri, quando ancora era procuratore aggiunto della Direzione distrettuale di Reggio Calabria. Si tratta dell’operazione “Columbus” che colpiva le potenti cosche della piana di Gioia Tauro impegnate in un traffico internazionale di cocaina. Tra gli arrestatifinisce Franco Fazio impegnato nella campagna elettorale lametina al fianco di Mascaro come candidato nella lista del Cdu. Secondo gli inquirenti, l’aspirante consigliere non è un tipo qualunque, bensì l’uomo di fiducia del narcotrafficante Gregorio Gigliotti.
Seguendo Fazio, gli investigatori sono riusciti a ricostruire una lunga serie di contatti con i principali clan calabresi. Il candidato consigliere sarebbe cioè uno dei principali broker del traffico internazionale di droga tra gli Stati Uniti e l’Italia, capace di stringere accordi con i rappresentanti delle ‘ndrine più potenti: i Violi di S
inopoli e i Berlingieri di Catanzaro, più altri esponenti delle cosche di Vibo
Appresa la notizia, il Cdu scarica il suo candidato. Lo fa con una nota che invita gli elettori a «considerare non più in corsa» Fazio. Quindi «invita gli eventuali sostenitori a non porre in essere alcuna azione di propaganda e/o richiesta di consenso a favore del candidato in questione, in attesa e con l’augurio che lo stesso possa dimostrare di essere estraneo ai fatti contestatigli».
Un caso isolato? Nient’affatto il 12 maggio 2015 si pente il boss Giuseppe Giampà e riferisce dell’appoggio promesso a Giuseppe Cerra detto Pino che è impegnato nella lista “Lamezia unita”, in appoggio del candidato a sindaco Paolo Mascaro. Riferendo dei rapporti del suo clan con la politica, il boss pentito dirà: «Sì, c’erano… purtroppo camminano a braccetto, diciamo ‘ndrangheta, mafia, come qualsivoglia organizzazione della politica. In una maniera o in un’altra, quando c’è il periodo delle elezioni è sempre la solita minestra, di ogni volta che ci sono le elezioni».
C’è, poi, un altro episodio, ancora oggetto di indagini, che dimostrerebbe l’imbarazzo dell’amministrazione comunale nel trattare argomenti scottanti sul fronte dei rapporti tra esponenti della maggioranza di centrodestra ed ambienti attenzionati dalle forze di polizia. Nel pomeriggio del 10 agosto 2015 si diffonde la notizia che un anziano ottantenne è stato derubato, aggredito e violentato da tre immigrati africani, nel quartiere Capizzaglie dove si trova il centro di accoglienza “Luna rossa”. La notizia è una bufala, le forze dell’ordine si affrettano a diramare comunicati per smentirla ma nel frattempo si è innescata una protesta che ha portato diverse persone in strada, in via dei Bizantini dove si trovano sia la sede di “Luna rossa” che quella del partito Mtl, di cui fa parte il consigliere di maggioranza Massimo Cristiano. Intervengono i carabinieri e la polizia, la strada viene bloccata e c’è una certa tensione che costringe gli ospiti del centro a chiudersi dentro. Al centro della protesta, alla quale hanno partecipato anche esponenti di ambienti legati alla criminalità locale, vengono individuati i consiglieri comunali Massimo Cristiano, e Mimmo Gianturco, già militante di CasaPound. Il sindaco decide che la questione non merita alcun commento e alcun dibattito. Liquidata come una “gaffe” ma ugualmente attenzionata nel dossier che riguarda la vita amministrativa di Lamezia Terme, invece, la questione dell’avvocato Massimiliano Carnovale, assessore comunale in carica ed in precedenza vicesindaco. Carnovale è stato difensore del boss Vincenzino Iannazzo nel processo denominato Andromeda. Nel medesimo processo, il Comune si era costituito parte civile. Dopo l’intervento del circolo di Sinistra Italiana, Carnovale ha comunicato di aver rinunciato alla difesa di Iannazzo. C’è poi il processo a carico del padre del presidente del consiglio comunale, Luigi De Sarro, che deve rispondere della compravendita di voti in favore del figlio Francesco alle ultime elezioni comunali del 2015. Due uomini, Claudio Belville e Claudiu Constantin, lo scorso 20 maggio avrebbero dato fuoco all’auto in uso a un altro soggetto, L.G., da loro accusato di non aver diviso in maniera equa il denaro ricevuto da Luigi De Sarro per procacciare voti al figlio. Per la Procura il padre del presidente del Consiglio avrebbe affidato a L.G., dietro il pagamento di mille euro, l’incarico di cercare preferenze per il giovane candidato. Alla “campagna elettorale” avrebbero poi partecipato anche Belville e Constantin. Il sindaco e la maggioranza non hanno permesso, ad oggi, di affrontare la questione in consiglio comunale.
Comprensibile, alla luce di tutto questo, il nervosismo del primo cittadino, esploso in occasione dell’ultima seduta di Consiglio comunale, quando il sindaco si è rivolto al deputato del Pd Sebastiano Barbanti, presente in aula, accusandolo di «essere venuto a spiare invece di starsene a Roma a lavorare».
Paolo Pollichieni
direttore@corrierecal.it