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Bankitalia certifica il fallimento di Garanzia Giovani

CATANZARO La crisi del mondo del lavoro e la reticenza delle imprese ad investire sono cardini su cui è imperniata la difficoltà del sistema economico calabrese da cui la nostra regione stenta ad u…

Pubblicato il: 13/06/2017 – 11:43
Bankitalia certifica il fallimento di Garanzia Giovani

CATANZARO La crisi del mondo del lavoro e la reticenza delle imprese ad investire sono cardini su cui è imperniata la difficoltà del sistema economico calabrese da cui la nostra regione stenta ad uscire.
È quanto emerge dal rapporto sullo stato di salute della nostra economia, reso noto stamani da Banca d’Italia. Ad illustrarne i contenuti il direttore della filiale catanzarese Sergio Magarelli assieme ai componenti del nucleo di valutazione Giuseppe Albanese, Iconio Garrì e Antonio Covelli.
Nel rapporto dello scorso anno, la Calabria aveva fatto registrare «timidi segnali di ripresa», come lo stesso Magarelli aveva sottolineato dodici mesi fa. Oggi, quei segnali, si sono attenuati e il segno prevalente è l’uguale.
Quasi una fase di stagnazione che non è influenza dai segnali positivi che arrivano dall’export, da un miglioramento della leva finanziaria e quindi dell’indebitamento per le aziende e da una maggiore propensione all’acquisto da parte delle famiglie: «Segnali troppo deboli – ha detto Magarelli – per poter influenzare significativamente l’andamento dell’economia regionale».
A gravare sul contesto economico calabrese è soprattutto la crisi del mercato del lavoro, in una regione in cui il 42% dei giovani tra 15 e 35 anni non solo non lavora, ma neanche studia o si forma, così entra a far parte di quel circuito di “Neet” ai quali era dedicato il programma governativo “Garanzia Giovani” che, dati alla mano, ha fallito nel suo intento. 
Accanto alle difficoltà dei giovani, soprattutto donne con grado di istruzione non elevato e magari provenienti da quel 12% di famiglie calabresi indigenti, c’è il contesto complessivo: il tasso di disoccupazione è del 26%, doppio rispetto al dato nazionale, e la struttura dei disoccupati preoccupa. La maggior parte sono infatti disoccupati da più di 12 mesi e la ricerca ha messo in evidenza come maggiore sia il periodo di disoccupazione, maggiore sia la difficoltà per rientrare nel mercato del lavoro. In pratica il classico cane che si morde la coda.
In questo contesto si inserisce la scarsa propensione delle imprese ad investire. Nel 2016 si è infatti registrato un decremento dei contratti a tempo indeterminato (quelli sostenuti dal Jobs Act) in favore di fattispecie contrattuali più flessibili o libere. Le imprese che pian piano sono riuscite a ristrutturare la propria esposizione debitoria e solo ora riescono ad accantonare utili, quindi, decidono di non investire nel mercato del lavoro, ma neanche in immobilizzazioni materiali, beni mobili e strumentali o ricerca e sviluppo. Piuttosto preferiscono trattenere in cassa gli utili per far fronte a nuovi, eventuali, “giorni di pioggia”.
L’incertezza del futuro è quindi il vero freno all’economia locale. E l’abbinamento con la riduzione degli investimenti dei fondi Por non aiuta affatto: il 2015 ha segnato l’anno del via libera alla spesa comunitaria stante l’esigenza di rendicontare le spese per i fondi europei 2007-13; nel 2016, l’avvio dei bandi non coincide, ovviamente con la spesa e pertanto molti settori ne hanno sensibilmente risentito.
Tra questi, proprio quello che aveva trainato l’economia fino a dodici mesi fa: l’agricoltura che non solo ha risentito della mancata spesa del Psr 2014-20, quanto ha dovuto fare i conti con un’annata al di sotto delle aspettative e dei livelli della precedente.

Alessandro Tarantino
a.tarantino@corrierecal.it

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