CERCHIARA Più di 36 ore in grotta, scendendo pozzi profondi dove il buio perfetto ed eterno viene trafitto solo dai fasci di luce delle lampade portate sui caschi. Oltre novanta operatori del Soccorso speleo impegnati in una grande simulazione di recupero di un ferito a 650 metri sottoterra. Si è svolta con successo l’esercitazione del Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico, partita nella notte tra il 13 e il 14 Luglio e che ha visto impegnati tecnici provenienti dal Lazio, Abruzzo, Marche, Campania, Puglia e Sicilia, oltre naturalmente ai volontari del Soccorso speleo della Calabria, che ha organizzato l’evento. Una esercitazione assai impegnativa sul piano tecnico, perché l’Abisso del Bifurto è tra le grotte più profonde d’Italia, con i suoi oltre 650 metri.
Si tratta di una sequenza impressionante di pozzi, alcuni dei quali vanno dai sessanta agli ottanta metri, con un meandro posto quasi alla fine e un sifone conclusivo. Dal punto di vista di una operazione di soccorso si tratta di una specie di incubo, perché un eventuale ferito posto alla massima quota di profondità deve essere raggiunto nel più breve tempo possibile, medicalizzato e trasportato in superficie dopo essere stato posto in barella. Ma lo sforzo è stato anche di tipo logistico, perché occorreva garantire punti di appoggio, pasti e ristoro per i molti volontari coinvolti nelle operazioni di soccorso. Da questo punto di vista il Corpo del Soccorso alpino e speleologico della Calabria ha dato il meglio, grazie alla collaborazione del comune di Cerchiara di Calabria, nel cui territorio ricade la grotta.
La scuola elementare del paese è diventata per alcuni giorni il quartier generale delle operazioni, con una sala stampa, un’aula adibita alle comunicazioni con i campi avanzati e con i tecnici scesi in profondità. Infatti per la prima volta è stato sperimentato con successo un tecnica di comunicazione in audio e video direttamente dal fondo dell’abisso. Da laggiù, grazie a un collegamento che sfruttava un router 4G posto in un luogo dove vi era una buona copertura di telefonia mobile ed una antenna del Cnsas, si è potuto trasmettere il segnale ad un’altra antenna situata al Campo Avanzato. Qui il sistema di trasmissione dati approntato dal Cnsas inviava direttamente il segnale attraverso il cavo telefonico steso in precedenza (oltre un km di lunghezza sino al fondo). Grazie a questa tecnologia, le immagini dei primissimi soccorritori giunti sul ferito sono arrivate sui monitor dei computer del campo base e si è potuto rapidamente decidere quale strategia adottare per riportare in superficie l’infortunato, inoltre se necessario si sarebbe potuto usufruire di una consulenza medica in diretta. Ma accanto a queste tecniche, restano quelle tradizionali, perché alla fine sono sempre gli uomini a dover affrontare la via per giungere dove è necessario. Per questo una squadra di telefonisti ha abilmente fissato un cavo telefonico lungo gli interminabili pozzi del Bifurto, mentre parallelamente altre squadre scendevano rapidamente per imbarellare il ferito. Comprensibilmente complesse le operazioni di recupero, cui hanno partecipato tutti i tecnici giunti dal meridione d’Italia, suddivisi in gruppi, pronti a subentrare man mano che la barella veniva portata su. Il ferito durante la faticosa e difficile risalita è sempre stato accompagnato dai medici e dai paramedici operanti nel Soccorso speleo, uomini e donne specializzati nel soccorso in luoghi impervi e pericolosi.
Tre giorni di fatica e impegno, nel corso dei quali si è collaudata una macchina organizzativa complessa e si sono messi in campo competenze altissime, oltre che uno spiccato senso della solidarietà e l’orgoglio di appartenere al Corpo del Soccorso.
Michele Giacomantonio
m.giacomantonio@corrierecal.it
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