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STIGE | Chi comanda a San Giovanni in Fiore

SAN GIOVANNI IN FIORE Geograficamente, San Giovanni in Fiore “risponde” a Cosenza. Ma nella mappa criminale delle ‘ndrine calabresi è a pieno titolo parte del feudo dei clan cirotani, che sull’altipi…

Pubblicato il: 12/01/2018 – 11:20
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STIGE | Chi comanda a San Giovanni in Fiore

SAN GIOVANNI IN FIORE Geograficamente, San Giovanni in Fiore “risponde” a Cosenza. Ma nella mappa criminale delle ‘ndrine calabresi è a pieno titolo parte del feudo dei clan cirotani, che sull’altipiano silano mostrano di andare d’amore e d’accordo con le ‘ndrine locali. Cuore dell’industria boschiva che vive di Sila e dei suoi alberi, il piccolo centro del cosentino era in tutto e per tutto in mano alla ‘ndrangheta, che ne controllava l’economia, blindata da un cartello di imprese diretta espressione dei clan, e l’amministrazione.

L’AMICO VICESINDACO All’interno potevano infatti contare sul vicesindaco Giovambattista Benincasa, «ex assessore all’ambiente del Comune di San Giovanni in Fiore nonché presidente della 1^ commissione permanente presso il Consiglio Regionale della Calabria, e successivamente anche vicesindaco del piccolo centro del cosentino», finito fra gli arrestati dell’inchiesta Stige con l’accusa di corruzione aggravata dall’aver favorito quei clan che a San Giovanni in Fiore avevano il nome e il volto di Pasquale Spadafora.

L’IMPRENDITORE DEI CLAN Ufficialmente noto imprenditore, in realtà uomo dei cirotani, con cui non esitava ad ostentare rapporti e contatti, Spadafora – emerge dall’ordinanza – non aveva remora alcuna a minacciare, taglieggiare e intimidire qualsiasi imprenditore boschivo intendesse lavorare nella zona. Era lui – ha svelato il collaboratore Francesco Oliverio, ex capolocale della vicina Belvedere Spinello, per lungo tempo “responsabile” anche di San Giovanni in Fiore – l’ingranaggio fondamentale del sistema messo in piedi dai clan per condizionare le aste boschive. Affiliato “per meriti e volontà” e non per sangue o casato al clan, Spadafora era ritenuto tanto affidabile – afferma il pentito –  da essere stato incaricato persino della gestione della latitanza dei boss Silvio Farao e Cataldo Marincola.

«NON POTEVA NON SAPERE» Rapporti di cui Spadafora non faceva mistero alcuno, anzi ostentava tanto con gli imprenditori, come con i compaesani. E dunque – ci tiene a sottolineare il giudice – «un amministratore locale, che ha fatto campagna elettorale nella zona – e i cittadini della zona ben conosce in virtù della sua attività al servizio della cosa pubblica – sapeva bene chi fosse anche chi fosse Pasquale Spadafora». A testimoniarlo, ci sono anche il particolare tipo di favori che il vicesindaco ha chiesto all’imprenditore dei clan, come la protezione dai furti, il recupero di somme da debitori recalcitranti o di essere “rappresentato” in territorio campano per “gestire” una fornitura di cippato.

FAVORI CHE SI PAGANO «”Cortesie” – evidenzia il gip – che solo una persona ben introdotta ed influente negli ambienti criminali della zona gli può garantire» e che si pagano a caro prezzo. «Mettendosi in queste condizioni – si legge nell’ordinanza – un amministratore pubblico mette consapevolmente in serio pericolo la propria imparzialità, perché non può non rappresentarsi la circostanza che il mafioso verrà a chiedergli il conto. Non si tratta che della base di un accordo corruttivo», che per Benincasa significa mettere sul piatto la «mercificazione della pubblica funzione, in violazione dei suoi doveri istituzionali di correttezza ed imparzialità».

BUROCRAZIA PIEGATA AI CLAN È infatti il vicesindaco a informare regolarmente Spadafora sull’uscita di bandi di gara o sovvenzioni, a mettere in gioco le proprie conoscenze per accelerare il rilascio di autorizzazioni alla ditta e persino a fare forzature per permettere all’imprenditore di riottenere la licenza per effettuare tagli boschivi, persa a causa del gravissimo incidente sul lavoro che ha causato la morte di uno dei suoi operai. Ma a disposizione dell’imprenditore che gli inquirenti considerano il referente dei clan nel settore boschivo, Benincasa mette anche la stessa amministrazione.

«IN COMUNE PUÒ FARE QUELLO CHE VUOLE» A Spadafora basta chiamare il vicesindaco per ottenere lo spostamento della moglie Barbara, impiegata comunale, a più gradite mansioni. «Avvoca’ manda Barbara a quel posto» dice l’imprenditore. Che insiste, nonostante il numero due del Comune gli dica che la cosa è complicata e soprattutto non è necessaria perché tanto «lei può sempre fare quello vuole … (incomprensibile) … non è questo il problema eh!». Ma Spadafora insiste e quel che vuole lo ottiene «in assenza – afferma il giudice – di qualsivoglia criterio di rotazione e/o di valutazione trasparente delle qualifiche assegnate». Per l’imprenditore, il Comune era “cosa sua”. E forse non solo grazie al vicesindaco.

LA POLITICA SECONDO I CLAN Sebbene Benincasa sia stato l’unico amministratore del piccolo centro del cosentino ad essere raggiunto da un provvedimento, alcune dichiarazioni del pentito Francesco Oliverio gettano ombre su tutta la coalizione di cui è espressione. E si tratta di ombre che rischiano di allungarsi fino alla Regione. Il collaboratore conosce bene il vicesindaco, quando gli investigatori gli mostrano la sua foto non ha difficoltà a riconoscerlo e subito aggiunge che «nelle elezioni del 2011 è stato eletto nella lista del sindaco Barile». All’epoca – dice in dettaglio il pentito – «era capitato che la giunta Barile era per così dire “caduta”, per cui fu necessario rieleggere la Giunta e, ribadisco, gli uomini della ‘ndrina di San Giovanni in Fiore confermarono l’appoggio a Barile». In quell’occasione – si legge nell’informativa – molti voti sono stati dirottati su Benincasa, che «una volta eletto, garantiva agli ‘ndranghetisti informazioni specie in ordine alle gare d’appalto che il Comune si apprestava a bandire».

Il «DISPETTO» AL GOVERNATORE Ma quelle non sono state le prime elezioni decise dai clan. «Barile – afferma il pentito – era stato appoggiato già nella competizione elettorale precedente, in quanto Paolo Spina Iaconis e i suoi parenti più stretti, vollero fare un dispetto a “Palla Palla” che è lo pseudonimo di Mario Oliverio, per cui vollero fare vincere la Destra». Si tratta del secondo riferimento all’attuale governatore, già finito nella bufera per un finanziamento elettorale di 2mila euro concesso dalla ditta Spadafora (ve ne abbiamo parlato qui) e che Oliverio non ha ancora inteso spiegare. La medesima ditta che non sembra avuto difficoltà alcuna a riottenere dalla Regione quella licenza all’attività boschiva sospesa per la morte di un operaio. Circostanze che in genere comportano uno stop di almeno un anno. Ma per la ditta Spadafora – a quanto emerge dall’ordinanza – no. 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

 

 

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