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Strage di San Lorenzo, in aula la ricostruzione dei periti

COSENZA In 120 secondi si possono esplodere fino a 13 colpi di pistola. Ne sono bastati anche di meno al killer che ha ucciso alla fine di ottobre del 2016 Edda Costabile e Ida Attanasio. Nella cor…

Pubblicato il: 27/01/2018 – 11:17
Strage di San Lorenzo, in aula la ricostruzione dei periti

COSENZA In 120 secondi si possono esplodere fino a 13 colpi di pistola. Ne sono bastati anche di meno al killer che ha ucciso alla fine di ottobre del 2016 Edda Costabile e Ida Attanasio. Nella corte d’Assise di Cosenza i tempi della giustizia però dettano ritmi ben più lenti e dilatati. Al banco dei testimoni si alternano i testi della pubblica accusa e della difesa. Finita la fase dibattimentale che ha riguardato i parenti più prossimi alle vittime e al presunto assassino Luigi Galizia, tocca ai verbalizzanti e poi ai periti. E proprio il perito, il dottore Aldo Barbaro, citato dal pubblico ministero Giuliana Rana, racconta gli esiti della perizia effettuata al cimitero di San Lorenzo del Vallo subito dopo il duplice omicidio.

IL CIMITERO Il luogo del delitto è circoscritto ai calcestruzzi e alle lapidi che custodiscono le salme dei defunti. Ida Attanasio ed Edda Costabile hanno incontrato lì la morte. «I colpi esplosi –dice il medico – sono un calibro 9 corto. Vengono usati principalmente dalla guardia di finanza. Abbiamo ritrovato anche due colpi inesplosi, con ogni probabilità c’è stato uno scarrellamento, l’arma potrebbe essersi inceppata». Sul colpo di Edda Costabile, in base alla perizia dell’esperto Barbaro, finiscono sette colpi di pistola. Due però sono quelli mortali, uno in prossimità del cuore, l’altro al polmone «i restanti cinque – prosegue – non hanno colpito organi vitali». La donna riporta anche una ferita sulla mano destra, con ogni probabilità avrebbe provato a fermare i proiettili che l’assassino stava sparando contro di lei, come a difendersi, come se potessero essere in qualche modo fermati. Ida Attanasio prova a scappare, salta un muretto e perde una scarpa, ma il suo aguzzino la raggiunge. «Viene colpita – prosegue Aldo Barbaro – da quattro proiettili. Uno passa il cappotto, due la raggiungono sul corpo e quando era già a terra il colpo di grazia le viene inflitto con un colpo alla testa».

LE PARTICELLE DA SPARO Oltre alla scena del delitto, il consulente dell’accusa, ha avuto modo di esaminare le tre macchine della famiglia Galizia. I risultati utili alle indagini però emergono dall’Alfa Romeo dell’imputato Luigi Galizia, dove tramite dei prelievi effettuati con il tampone vengono rilevate delle particelle di antimonio, piombo, stagno e bario. «Si tratta di elementi – spiega il medico – che rimangono sulla superficie di indumenti o delle mani di chi spara con un’arma da fuoco. Per tatto si sono depositate all’interno della macchina». Nel commentare la sua perizia, il dottor Aldo Barbaro spiega come questo tipo di particelle si sposti principalmente per contatto e che quindi è estremamente improbabile che siano volate all’interno della macchina rimasta con il finestrino aperto per oltre un giorno. Nel rifugio di Spezzano Albanese dove si era rifugiato Luigi Galizia queste particelle però non sono state rinvenute.

LA FOTO Parte della lunga udienza è stata dedicata all’esame degli agenti di polizia. Il commissario Francesco Falcone, il sovraintendente Salvatore Palermo e l’ispettore Eugenio Fusaro De Marco hanno spiegato la fase di indagine che li ha visti coinvolti. Avevano piazzato una cimice nell’auto di Luigi Galizia subito dopo la morte dell’assassinio del fratello Damiano, per ottenere informazioni sul rinvenimento delle armi in un box di Rende. Gli agenti hanno raccontato come abbiano consegnato la macchina alla famiglia Galizia nella speranza che qualcuno parlasse e quindi scoprissero dove si stesse nascondendo l’imputato. Nulla da fare ma c’è la foto che gli agenti fanno in modo quasi furtivo che non convince la difesa. Gli avvocati Cesare Badolato e Francesco Boccia insistono sulle modalità in cui siano stati fotografati gli indumenti all’interno della macchina, risultano in posizioni diverse da due diverse diapositive; ma i tre confermano: «Fu il padre a toccarli, noi non siamo entrati nell’abitacolo e ne abbiamo toccato i vestiti».

Michele Presta
redazione@corrierecal.it

 

 

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