Ultimo aggiornamento alle 11:01
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 9 minuti
Cambia colore:
 

«Se il Sud si salva, salva anche noi»

«Un Paese invecchiato – scrive il Censis nel Rapporto 2017 –  che fa fatica ad affacciarsi sullo stesso mare di un continente di giovani». Così, fomentando una narrazione apocallitica, invece di  t…

Pubblicato il: 08/02/2018 – 10:32
«Se il Sud si salva, salva anche noi»

«Un Paese invecchiato – scrive il Censis nel Rapporto 2017 –  che fa fatica ad affacciarsi sullo stesso mare di un continente di giovani». Così, fomentando una narrazione apocallitica, invece di  trasformare i flussi dal Mediterraneo in piattaforme di relazionalità, rischia di ridurre il fenomeno migranti in pericolo per l’ordine  pubblico. E ancora: «Un Paese  incapace di vedere nel Mezzogiorno una riserva di capacità e di ricchezza preziose per tutti». È evidente, sommando le due questioni, l’assenza, in chi dovrebbe progettare il futuro, forse perché immerso fino al collo nel gioco mediatico  a bassa intensità di pensiero, di un immaginario potente. Per fortuna, non mancano le voci che tentano di introdurre nel dibattito riflessioni solide, con cui, se recepite, si potrebbero evitare le trappole delle idee in tweet e dell’indifferenza collettiva. 
Monsignor Pierangelo Sequeri, uno dei “dieci grandi esploratori cristiani del mondo”, al centro di una singolare triangolazione arte – religione – Mezzogiorno, è decisamente una di queste voci. Del Mezzogiorno dice: «L’anima è rimasta al Sud. Se il Meridione si salva l’anima, la salva anche per noi”. E ancora: “il Meridione è il luogo più adatto – e cruciale – per investire nell’arte e nel pensiero dell’umanesimo». Ma andiamo con ordine.

LO SCULTORE DI “GENERAZIONI” E IL CONVEGNO A MILANO 
Con una telefonata notturna, qualche anno fa, il  vescovo di Noto mons. Antonio Staglianò, mi chiese se conoscessi lo scultore Antonio Cersosimo. Mai sentito. L’indomani, però, seppi rispondere. Uno scultore rientrato a Crucoli da Milano, dopo aver girovagato per il mondo. Una storia d’artista: trafficata, inquieta e a tratti tormentata; e forse anche perciò interessante. E feconda. Lo cercava monsignor Pierangelo Sequeri, uno dei dieci più grandi teologi del mondo, preside del “Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia”. In breve: una sua scultura, “Generazioni”, era stata scelta come logo di un convegno internazionale dal  titolo “Di generazione in generazione/ La trasmissione dell’umano nell’orizzonte della fede” che   la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale doveva tenere a Milano.  
I tre profili umani di “Generazioni”, liberati dal marmo dov’erano tenuti prigionieri, sembrano slanciarsi nello spazio vuoto e incedere con passo fermo. Né uno separato dall’altro. Né il primo in cagnesco col terzo.  Ma  l’un l’altro avviluppati. Non a tal punto da sottrarsi ossigeno ed energia, bensì complementari   nelle movenze statiche e, insieme, cinetiche: la cifra della continuità delle generazioni. Che poi è il vero soggetto dell’insieme: la riproduzione della specie umana. Mi disse Cersosimo: «La mia utopia non è stata quella del ritorno nella mia terra da cui sono fuggito per fare altre esperienze. Il mio sogno artistico coincide con l’avvicinarmi sempre più al mare, alla sua capacità di plasmare gli oggetti». Eppure, questo calabrese espunto, per snobismo o pigrizia culturale, dalle antologie dell’arte postmoderna e trans avanguardista e sconosciuto alla maggior parte dei calabresi (ma non al grande pittore Ernesto Treccani, che lo conobbe durante i suoi frequenti soggiorni a Melissa: «Con lui la materia si arrende ai rischi più insoliti, alle combinazioni più inedite, senza che venga tradita la proprietà della natura stessa, concretizzando l’immagine in modo immediatamente vitale») aveva lasciato il segno. E  per l’utilizzo della sua opera come logo dell’importante convegno, doveva assentire alla liberatoria. 

SEQUERI: UNO DEI “DIECI GRANDI ESPLORATORI CRISTIANI AL MONDO”  
L’occasione è valsa anche per conoscere Sequeri. E il suo eclettico impegno: noto compositore e creatore di una scuola di musicoterapia, ma soprattutto  uno dei più rinomanti teologi indicato tra i “dieci grandi esploratori cristiani” del mondo (“Le mappe della fede” di Michael Paul Gallagher) insieme a Newman, Blondel, Taylor e Benedetto XVI che hanno accolto la sfida della modernità e della post modernità elaborando proposte originali. L’ho intervistato, a distanza di tempo, sia per conoscere l’origine del suo apprezzamento per Cersosimo che per mettere a fuoco alcune sue idee sul Mezzogiorno.   

Lei ha suggerito di adottare “Generazioni”, l’opera dello scultore Antonio Cersosimo, per un convegno di enorme rilevanza teologica, come s’è  imbattuto in quella scultura e cosa l’ha colpita in particolare?
«La storia della mia sintonia con l’opera di Antonio Cersosimo, anzitutto, risale a molto temo prima del convegno. Intreccia i due percorsi che lei ha voluto ricordare, ossia l’impegno di musicista con bambini un po’ speciali e il lavoro di insegnamento universitario. Molti anni fa, quando si trattò di dare forma di cooperativa vera e propria al centro di educazione e riabilitazione (www.esagramma.net), ho intercettato il punto esposizione che Cersosimo aveva a Milano, proprio mentre mi recavo nello studio notarile che seguiva la pratica. Mi colpì immediatamente l’originalità della matrice formale delle sue composizioni. Vidi le crome della scrittura musicale che assumevano la forma umana, la restituivano alla sua purezza essenziale e la collocavano in uno spazio, al tempo stesso, cosmico e spirituale. Ho detto subito ai miei giovani collaboratori: è il lavoro che dovremo fare noi, traendo fuori, con la musica, la purezza e lo spirito vitale della forma umana, che anche nei corpi e nelle menti ferite aspetta di imparare a volare. Quando abbiamo pensato, con il preside  e i colleghi della facoltà teologica, di fare un convegno di studio sulla “generazione dell’uomo”, mi è ritornata in mente quell’impressione profonda. Mi sono rimesso sulle tracce di Cersosimo, e ho visto che, nel frattempo, aveva creato una composizione che si chiamava proprio così: “Generazioni”. Mi aveva anticipato anche questa volta».  

Lei sostiene che le cose intorno a noi abbiano una loro intelligenza. Indipendente dalla percezione delle persone. C’è un’intelligenza particolare a cui l’Italia del Sud dovrebbe far ricorso in questa difficile congiuntura? Qual è il messaggio che l’arte, quando non è soltanto mera sensorialità, può inviare alle generazioni del nostro tempo?
«Le cose brutte della vita ne fanno parte, purtroppo. Quando si affollano intorno a noi, e magari ci feriscono profondamente, tendono l’arco della nostra anima fino al punto di rottura. Se si rompe, l’avvilimento – a volte disperato, a volte rassegnato – prende il sopravvento. L’artista dev’essere cosciente di questo, non può ignorarlo. Però, se si limita a confermarlo platealmente, viene meno al suo dono. Il suo dono è quello di scavare nella materia per convincere la nostra anima, proprio attraverso i sensi, che la vita ha scatti di orgoglio contro l’avvilimento, e forza di risollevare la testa, per ciò che nella vita è prezioso e imperdibile. La generazione che viene, ad esempio: che ha diritto ai suoi doni. Nella sua Lettera agli Artisti, Giovanni Paolo II ha scritto che l’arte è per darci il coraggio del lavoro che è necessario per risorgere. Niente di estetizzante, insomma. L’arte è la condizione essenziale per la trasmissione dell’umano. Se percorriamo questa strada, le cose – che hanno smesso da tempo di farlo – ricominceranno a parlarci. E le cose hanno una sapienza che l’arte sa leggere, il computer no». 

Come percepisce il Mezzogiorno, e le sue aree storicamente svantaggiate  che recano i segni delle brutture arrecate dai disastri ambientali e dall’erosione consumistica e speculativa dell’immenso patrimonio naturalistico e culturale, un teologo che sostiene che la fede ha anche a che fare con la bellezza?
«Il punto è che le ferite alla bellezza della natura e dell’habitat devono essere percepite come uno sfregio all’intimità della casa. Chi ritorna nella propria abitazi
one e si trova davanti i segni della violazione e del furto, sente il profondo turbamento di una ferita dell’anima, ben oltre il valore delle cose rapinate. Questo avviene anche nella dimensione di un’intera città, di un’intera società. Quando l’habitat è violato, sempre l’intimità dell’anima è sfregiata. L’anima diventa vulnerabile, incerta, priva di punti di riferimento. Le opere e la cultura della bellezza consacrano l’habitat. Se trasformi un rustico in un luogo di concerti per giovani orchestre, se icone e incanti della memoria e dell’immaginazione segnano le vie, i nodi, gli spazi di un habitat, raccontando le cose della sua anima di ieri e di oggi, i flussi degli umani si dispongono spontaneamente sul loro percorso e le proteggono. E’ questo che fa la bellezza dell’habitat: rinsalda la fede, riaccende la speranza, rende più difficile – e più vergognosa – la violazione dell’anima. Se ci crediamo di nuovo, ci salveremo». 

Al rischio di strappi tra generazioni si aggiunge anche il rischio di uno strappo Nord-Sud per via del divario economico. Il vescovo di Noto, monsignor Staglianò, in un suo  libro sostiene che il Sud è un patrimonio di valori di cui l’Italia ha assoluto bisogno, per ritrovare coesione sociale ma soprattutto l’umanità che stiamo perdendo. Lei è d’accordo?
«Il mio pensiero, detto in tutta semplicità, è questo. Il Meridione d’Italia custodisce ancora per noi, e per l’intera Europa, la memoria dei valori di un’antica alleanza fra l’anima e l’habitat. Di questa alleanza si nutrono i legami di prossimità che l’Occidente, tecnocratico e finanziario, sta perdendo. Dobbiamo fare di tutto per impedire che questa anima venga avvilita dal degrado dell’habitat. Abbandonarla alle complicità interessate fa crescere la rassegnazione all’avvilimento. L’anima è rimasta al Sud. Se il Meridione si salva l’anima, la salva anche per noi. In questo momento il Meridione è il luogo più adatto – e cruciale – per investire nell’arte e nel pensiero dell’umanesimo. E’ l’ambiente storicamente adatto. Il Nord europeo (e anche italiano) è già molto anestetico e molto vulnerabile: molto indifferente a questa perdita. Non ne percepisce più neppure l’avvilimento, anzi spesso se ne vanta. Il Sud lo patisce ancora, e non se ne vanta. Certo anche il resto deve venire, naturalmente: strutture economiche, civili, sociali adeguate eccetera. Ma se il Sud rilancia questo azzardo e questa ambizione di custode dell’umanesimo dell’habitat, anche il resto verrà, state sicuri. Solo ribalterei proprio le priorità. L’eccellenza universitaria dell’umanesimo – pensiero, arte, musica – la spingerei al Sud. E’ un azzardo? Possiamo concentrare i nostri sforzi per rendere attraente al Meridione stesso questa sfida? Ditelo voi. Per mio conto, io sostengo che non c’è altro luogo, in Europa, in cui l’Occidente globalizzato possa rilanciare sulla salvezza dell’anima. Quella umana dico. E su questo, direi, laici e religiosi devono solo dare il meglio di sé. Se non vogliamo lasciarci ridurre a insetti ingegnosi, dove la sola differenza è che i formicai li costruiamo con l’autoCAD».

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del mare 6/G, S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano | Privacy
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x