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L’Antimafia da salvare

REGGIO CALABRIA Il movimento antimafia è malato, ma va salvato. La stagione degli scandali che ha colpito non solo diverse associazioni antimafia, scoperte in combutta con i clan, avvezze ai medesi…

Pubblicato il: 23/02/2018 – 18:21
L’Antimafia da salvare

REGGIO CALABRIA Il movimento antimafia è malato, ma va salvato. La stagione degli scandali che ha colpito non solo diverse associazioni antimafia, scoperte in combutta con i clan, avvezze ai medesimi metodi o banalmente imbuto di denaro pubblico usato a fini privati, ma alcune delle star che tali movimenti avevano creato non ha lasciato indifferente la commissione parlamentare antimafia. Anche sulla base della preoccupata denuncia del presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, che al Mattino di Napoli ha paventato il rischio che «l’antimafia sociale si trasformi in un lavoro qualsiasi, una sorta di antimafia a pagamento, magari anche ben remunerata con fondi pubblici», i parlamentari hanno esplorato per mesi il tema.

ANALISI SCHIETTA MA PARZIALE Il risultato è un’analisi schietta sui “mali” dell’antimafia, che tuttavia parte da un presupposto per la commissione irrinunciabile: «Salvaguardare e rilanciare un ricco patrimonio di esperienze e prassi di contrasto dei poteri mafiosi che ha dato un grande contributo in ambito sia locale che nazionale». Ed elude – purtroppo – il tema della gratuità dell’impegno, che diverse associazioni ormai mettono sul piatto e pongono alla base del proprio impegno.

SALVATE IL SOLDATO ANTIMAFIA Per la commissione il movimento antimafia deve essere salvato perché «appare come uno dei maggiori e più importanti attori della storia civile repubblicana, oggi forse il maggiore riferimento per la rigenerazione morale del Paese, suscitatore di passioni gratuite e di disponibilità a impegni prolungati, ragione di speranza per le nuove generazioni». Di più «fattore di cultura e di memoria, scrittore di una storia più ampia rispetto a quella ufficiale. Luogo di formazione più avanzata di nuove leve della magistratura e delle forze dell’ordine. Soggetto in dialogo positivo, pur se talora critico, con istituzioni che soffrono invece di una crisi di fiducia da parte dei cittadini».

DISTURBI DELLA CRESCITA Affermazioni che tuttavia non impediscono ai parlamentari un’analisi spietata delle degenerazioni che l’antimafia civile abbia negli anni e nei vari territori prodotto. «Non avendo la struttura di un partito in grado di selezionare rigorosamente la sua classe dirigente – si legge nel testo – ma essendo soggetto magmatico e giovanissimo, il movimento ha così prodotto e proposto in più occasioni personaggi in cerca d’autore, ha accreditato e acclamato per amore di giustizia persone al limite della millanteria, ha portato nelle scuole a spiegare la mafia persone che nulla ne sapevano (il che può accadere, come ovvio, anche a un familiare di vittima, se è chiamato ad andare oltre la sua esperienza), ha messo sul podio eroi di carta o addirittura protagonisti di comportamenti illegali, applauditi in memorabili standing ovation». Circostanze che hanno fatto comodo anche ad alcuni esponenti delle istituzioni, «ai quali – sottolinea la commissione – bastava dire di avere lavorato con Falcone, o di essere stati “nella trincea siciliana” negli anni delle stragi, per beneficiare di aperture di credito ingenue quanto abusive».

ALLARME CALABRIA E SICILIA Un problema che ha riguardato soprattutto (sebbene non solo) regioni come la Calabria e la Sicilia, dove «personalità considerate simboli della lotta alle mafie, hanno mostrato le contraddizioni e talvolta l’ipertrofia di un movimento che aveva visto nel tempo crescere la sua presenza, la sua visibilità e la sua capacità di influenza». Diverse vicende – sottolinea la commissione – «hanno rivelato le strumentalizzazioni di chi, attraverso la scelta di campo in favore della legalità, mirava in realtà a consolidare posizioni di potere e conseguire indebiti vantaggi, violando la legge e confidando nell’immunità garantita del prestigio o dalla notorietà ottenuti attraverso le battaglie antimafia».

IL BUSINESS DELLA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE Un problema riscontrato anche dai prefetti, quando sollecitati da giudici rigorosi a verificare la legittimazione delle associazioni che si costituivano parte civile. Molte di loro – si legge nella relazione annuale della commissione – «evidenziavano anche un profilo critico relativo alle pubblicità dei bilanci e delle prassi di rendiconto. L’accesso a questi dati era garantito al pubblico da un numero davvero esiguo di associazioni antimafia o più in genere antiracket, anche quando disponevano di cospicue risorse provenienti da finanziamento pubblico, erogato a fronte del mero accredito statutario delle associazioni stesse».

MIMETISMO In più di un caso poi, è emerso come i clan siano riusciti ad accreditare presso associazioni antimafia soggetti appartenenti o vicini alle cosche, al fine di occultare i loro affari sotto il manto dell’apparente opposizione alla mafia o di allontanare le attenzioni investigative fruendo del “marchio” della lotta all’illegalità.

QUESTIONE DI PRIORITÀ Profili che hanno indotto storici come il professore Lupo a parlare di un’antimafia «sempre più preoccupata di avere riconoscimenti e potere e quindi sempre pronta con la retorica a ricordare e a santificare i suoi eroi, ma soprattutto a non restare con le tasche vuote, piuttosto che continuare ad essere una voce scomoda di denuncia civile, inquieta coscienza morale che interpella il Paese sul terreno della giustizia e delle libertà». Una valutazione comune a molti studiosi e ad esperti cronisti, come Attilio Bolzoni, ma che la commissione sembra solo in parte condividere.

CRISI CULTURALE Per i parlamentari, «se la crisi dell’antimafia è prima di tutto una crisi culturale, occorre anche sottolineare che le mancate verità sulla stagione delle stragi sono certamente uno dei fattori oggettivi che alimenta il ritardo culturale di una certa antimafia. Il bisogno di giustizia non può essere sommariamente liquidato come l’ossessione di pochi ma corrisponde a una necessità morale e politica di cui il Paese si deve far carico e al quale anche la Commissione ha cercato di corrispondere offrendo un proprio contributo».

QUESTIONE DI DELEGA Nonostante criticità, limiti ed errori, per la Commissione quello del movimento antimafia è un patrimonio che non si deve disperdere, ma anzi va ricostruito «ripartendo e ripensando il ruolo positivo svolto dal movimento e in particolare dalle sue storiche associazioni». Soprattutto nei suoi primi anni di vita, ricordano i parlamentari, l’antimafia ha avuto un «ruolo che è stato anche di supplenza nei confronti dello Stato e dei cittadini. Il movimento civile e sociale dell’antimafia ha affrontato, nel bene e nel male, problemi e difficoltà che le istituzioni pubbliche non vedevano o non erano in grado di gestire, ha sostenuto le fragilità e la solitudine di molti territori, si è fatta carico della debolezza del valore della legalità per troppi italiani».

NO ALLA DELEGA E ALL’AUTOREFERENZIALITÀ Sulle spalle associazioni – spiegano –  sarebbero state scaricate «troppe responsabilità che invece devono essere ripartite e condivise meglio». Se da una parte il rispetto della legalità non può essere delegato «al professionismo di generose minoranze dell’antimafia», le esperienze e competenze che queste hanno maturato non possono diventare strumento di validazione autoreferenziale, ma devono essere – si sottolinea nella relazione – risorse di sistema e condivise, strumenti di una consapevolezza più diffusa e popolare. «Nella lotta alle mafie c’è bisogno di tutti, come ha spesso ricordato il presidente della Repubblica serve “una moltitudine di persone oneste, competenti, tenaci e di una dirigenza politica e amministrativa capace di compiere il proprio dovere”. L’antimafia – concludono i parlamentari – “è un problema di coscienza e di responsabilità. Non può e non deve essere una cart
a di identità che uno tira fuori a seconda delle circostanze”».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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