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«Perché il Pd dovrebbe “aiutare” i grillini»

Ha vinto il Movimento 5Stelle. È il dato chiaro che ci consegnano le elezioni del 4 marzo. Il Movimento – ma sarà difficile chiamarlo ancora Movimento – ha ottenuto, da solo, il 32-33% dei voti. Ha v…

Pubblicato il: 07/03/2018 – 19:23
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«Perché il Pd dovrebbe “aiutare” i grillini»
«Perché il Pd dovrebbe “aiutare” i grillini»

Ha vinto il Movimento 5Stelle. È il dato chiaro che ci consegnano le elezioni del 4 marzo. Il Movimento – ma sarà difficile chiamarlo ancora Movimento – ha ottenuto, da solo, il 32-33% dei voti. Ha vinto il centro-destra, come coalizione, raccogliendo il 37% dei voti. Nell’ambito della coalizione ha vinto la Lega di Salvini, staccando Forza Italia con un sonoro 3%. Forte del suo 17%, la Lega rivendica giustamente – non erano forse questi i patti preelettorali? – il ruolo di guida del centro-destra, benché Berlusconi si sia prontamente offerto come “garante” dell’alleanza, non foss’altro che per (tentare di) tranquillizzare mercati e cancellerie europee. Il Partito democratico ha perso le elezioni, a distanza di poco di un anno dalla celebrazione del referendum costituzionale che avrebbe dovuto incoronare Renzi, e che, alla prova dei fatti, ne ha segnato l’agonia politica. Agonia che Renzi avrebbe potuto evitare, semplicemente uscendo di scena e lasciando il timone del partito ad altre forze. Prendersi un periodo sabatico, aspettare l’evolversi delle stagioni accomodandosi sulla panchina delle “riserve” della Repubblica, fare il Cincinnato della politica: era questo lo spazio nel quale Renzi avrebbe potuto continuare a muoversi. Aveva personalizzato e politicizzato troppo il progetto di riforma costituzionale per non seguire il suo primo istinto in caso di sconfitta al referendum: dimettersi. Ma con la stessa caparbietà con la quale era riuscito a movimentare il sistema, a scuotere il quadro politico, ad introdurre riforme – giuste o sbagliate che siano (non è qui che ne vogliamo discutere), si è invece rinchiuso nel suo inner circle. E da questo fortino ha condotto la campagna elettorale, schiantando infine il partito nelle urne. Intanto il Partito democratico aveva subito lacerazioni intestine, in alcuni casi ricomposte all’interno – ma con seri e dolorosi postumi -, e in altri casi non superate. Tanto da portare alla scissione a sinistra condotta da D’Alema e Bersani. Che hanno poi incoronato Pietro Grasso leader di Liberi e uguali. Una pattuglia che ha seminato vento e raccolto tempesta; avrebbe fatto meglio a lavorare dentro l’orizzonte riformista del Partito democratico.
È questo, in sintesi, il quadro politico che viene fuori dalle urne.
Nessuna delle forze politiche, da sola, è in grado di esprimere una maggioranza di governo. E, in questo senso, il compito del Presidente della Repubblica non sarà certo facile. Ma Mattarella, oltre che giurista, è uomo politico che ha attraversato le diverse ere della Democrazia cristiana, guadagnandosi sul campo i galloni oggi necessari alla costruzione dei futuri difficili equilibri.
Mi ha molto intrigato il “tridente” che Floris ha schierato nel corso del suo programma televisivo del 6 marzo: Eugenio Scalfari, Vittorio Zucconi, Massimo Giannini. È un tridente che viene da “la Repubblica”. Eugenio Scalfari è un giornalista che sa raccontare i fatti. Ma è anche un giornalista che, attraverso il suo giornale, la politica la pensa, la elabora. Da intellettuale, qual è, immagina e apre scenari politici. Li coltiva. Li costruisce. Prima delle elezioni, intervistato sempre da Floris, aveva detto che tra Berlusconi e Di Maio avrebbe preferito Berlusconi, il personaggio che ha sempre combattuto dalle colonne de “la Repubblica”. Ha lasciato stupiti e ha suscitato un vespaio di commenti. Sulla stessa poltrona, Scalfari, dopo le elezioni, dice a Floris che il Movimento 5Stelle contiene al suo interno un serbatoio notevole di elettorato di sinistra. Vittorio Zucconi, sulla stessa poltrona di Floris, non fa che ripetere che le elezioni, ancor più in un sistema proporzionale, registrano sempre un dato: le vince chi le perde, perché chi le perde è, in realtà, il kingmaker del gioco. Massimo Giannini evidenzia, invece, che il M5Stelle è un movimento né di destra né di sinistra: è un contenitore.
Sono segnali, a mio avviso, importanti. Parole incrociate non estemporanee, ma ragionate. Perché?
La sinistra esce malconcia, e rischia di attraversare il deserto per lunghi anni. È un declino culturale-politico che riguarda, più in generale, la sinistra occidentale per ragioni che ora non possiamo affrontare.
Il centro-destra vince, ma vince come coalizione, che non ha “coesione” culturale, politica, programmatica. Berlusconi, durante la campagna elettorale, ha rincorso Tajani per accreditarsi nelle cancellerie europee come moderato. Salvini e Meloni, nella migliore delle ipotesi, porterebbero l’Italia nel gruppo di Visegrád (non a caso la Meloni, a qualche giorno dalle elezioni, si è fatta il selfie con Orbán sulle rive del Danubio di Budapest). Nella peggiore delle ipotesi, Salvini porterebbe l’Italia fuori dall’euro. E, oltretutto, scatenerebbe, per la sua politica xenofoba di chiusura, guerre di civiltà. Juncker, quando ha espresso timori per il dopo-elezioni, forse aveva alzato il gomito, ma è un politico troppo navigato per parlare a vuoto. E poi non si può non considerare che la “coalizione senza coesione” di centro-destra, ora a trazione leghista, è comunque fatta di partiti che da soli non raggiungono il 20% dei voti, a fronte del 32% del Movimento 5Stelle.
Il Movimento 5Stelle, sull’onda dell’iniziale “vaffa”, si è via via ingrossato dello scontento generalizzato verso la politica. È vissuto dalla gente come segno di svolta. Speranza di cambiamento. Ma chi di speranza vive di speranza muore. E Di Maio l’ha capito. Non a caso, molto intelligentemente, il leader grillino, prima delle elezioni, ha voluto (irritualmente) presentare all’elettorato e all’establishment la sua squadra di governo, fatta di persone nel proprio ambito “competenti”. Ha voluto così lanciare un messaggio: il voto ai grillini non è un salto nel vuoto. Tutti ricorderemo, poi, che Di Maio si è fatto vedere a Cernobbio. E con zelo ha attraversato in lungo e in largo le più importanti piazze politico-finanziarie del mondo occidentale.
E, però, allo stato, il Movimento 5Stelle rimane un serbatoio che esprime essenzialmente scontento e voglia di cambiamento, senza radici e senza solida cultura politica.
È questo il punto. È qui che occorre lavorare. Per cavare, con l’ottimismo della volontà, quanto di positivo rimane dopo la tempesta elettorale. Occorre assorbire lo scontento e indirizzare positivamente questa esigenza di cambiamento. Proprio su questo terreno può ancora entrare in gioco la sinistra, pur sconfitta. E svolgere un ruolo. Riconoscendogli – come negarla? – la netta vittoria, la sinistra de-renzizzata dovrebbe offrire al Movimento 5Stelle la stampella culturale-politica (quindi, una rete di competenze e una garanzia di affidabilità) necessaria ai grillini, non solo – beninteso – per formare la maggioranza).
Il messaggio (sibillino) di Scalfari diventa, a mio avviso, chiaro. Movimento 5Stelle primo partito, centro-destra impraticabile, sinistra sconfitta: in questo quadro il sostegno di una sinistra, che si impegni fin da subito in un processo di rinnovamento interno, ad un governo a trazione cinquestelle è l’unica prospettiva che la toglierebbe dall’irrilevanza. È la prospettiva che spiega le parole di Zucconi: in fondo, vince il partito che perde, perché può fare il kingmaker. È la prospettiva che spiega le parole di Giannini: i grillini sono un contenitore. Un contenitore, però, nel quale si è rifugiata molta parte dell’elettorato di sinistra.
È il percorso che terrebbe la sinistra “aggrappata” al governo. Ancora in vita, mentre attraversa il deserto. Del ripensamento. E del rinnovamento.

*docente dell’università Mediterranea di Reggio Calabria

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