COSENZA Non è difficile intuire perché i carabinieri del nucleo forestale nella sede di Calabria Verde abbiano riempito gli scatoloni di documenti e computer. La questione dei lotti boschivi e della scia che si lascia dietro la società in house della Regione Calabria non finisce qui. Lo suggeriscono le carte prodotte in questa nuova indagine condotta dalla Procura di Castrovillari. Ad Antonietta Caruso, dirigente di Calabria Verde finita agli arresti domiciliari per una presunta tangente pagata da Antonio Spadafora (qui, qui e qui i dettagli), arrivavano sms da un altro imprenditore boschivo. E il tono dei messaggi era questo: «Sei pure scostumata mi devi dare i soldi e non mi rispondi al telefono. Chiamami se no ti denuncio a te e a tuo marito. Aspetto che mi chiami e mi porti i soldi». Del singolo episodio gli inquirenti non sono riusciti ad avere riscontro, mentre grazie all’interrogatorio di Spadafora (detenuto in carcere per l’operazione “Stige” condotta dalla Dda di Catanzaro) sono finiti guai la dirigente e l’agronomo Salvatore Procopio.
PANICO E MANETTE Procopio e Caruso hanno rapporti stretti, nelle carte dell’inchiesta gli inquirenti li definiscono «familiari». È proprio Procopio che suggerisce a Spadafora di rivolgersi alla dirigente per “sbloccare” il fermo al taglio della legna sul lotto che aveva in appalto dal 2009. La richiesta è netta: «Servono 20mila euro». Antonio Spadafora li consegna, i carabinieri annotano tutto e dopo qualche chilometro fermano la dirigente. Ma la storia si intreccia con quella dei magistrati della Dda di Catanzaro. Spadafora finisce in manette e la prima cosa che fa la dirigente è alzare il telefono e poi andare al comando dei carabinieri. Ai militari vuole spiegare qual è il suo ruolo all’interno di Calabria Verde. La donna, secondo i carabinieri, appare «turbata» e specifica che le guardie giurate che sono ai suoi ordini controllano la zona di Bocchigliero. Insomma, tra lei e Spadafora non c’è nessun tipo di contatto. I carabinieri annotano anche come tutte le dichiarazioni rese dalla dirigente ai fini delle indagini non abbiano alcun tipo di rilevanza. E il via vai non c’è solo dalla stazione dei carabinieri di Cava dei Melis ma anche dallo studio dell’agronomo Procopio. L’arresto di Spadafora è l’unico argomento sulla scrivania dell’agronomo, il resto può aspettare. Tra i più preoccupati c’è anche un funzionario della Regione Calabria che spesso era andato proprio con Spadafora nello studio del comune amico agronomo e, si scopre oggi, anche tramite per superare gli ostacoli burocratici.
LA PEZZA E LE DICHIARAZIONI Spadafora, Procopio e Caruso non comunicavano solo tramite sms e chiamate. Per questi 20mila euro consegnati “brevi manu” serviva una sorta di “pezza giustificativa”. Per questo l’indicazione data al ragioniere dell’imprenditore boschivo è quella di scrivere una Pec attraverso la quale poi tutto il procedimento sarebbe stato sbloccato. Lo racconta Spadafora ai magistrati, del resto il procuratore capo di Castrovillari Eugenio Facciolla ne ha parlato come di una persona che si sentiva quasi truffata. Spadafora aveva fretta di sbloccare questi lotti. Nello studio di Procopio perde la pazienza. «Ci sto perdendo 20mila euro». E dato che alla mail non rispondeva nessuno e idem al telefono, “minaccia” di andare da Aloisio Mariggiò (commissario di Calabria Verde, ndr) e raccontare tutto. I lotti di “Acqua di Faggio” però sono ancora bloccati. «Sembrava che si muoveva una montagna – racconta Spadafora nel corso del suoi interrogatori – e io ci ho pure creduto».
Michele Presta
m.presta@corrierecal.it
x
x