CATANZARO Questo racconto inizia a bordo dell’auto di Aloisio Mariggiò, ex generale dei carabinieri e commissario straordinario di Calabria Verde. È il 30 aprile, giorno in cui l’agenzia regionale finisce – di nuovo – nella bufera. I carabinieri forestali arrestano una funzionaria e un imprenditore boschivo per una mazzetta da 20mila euro. Mariggiò, di buon mattino, è diretto a Cosenza per un incontro sull’antincendio boschivo. «In viaggio – dice – vengo contattato dalla sede dell’Ansa di Catanzaro che mi chiede notizie in ordine all’avvenuto arresto “per concussione” di un dirigente di Calabria Verde». Basta qualche verifica al commissario per apprendere che l’arrestato non è un dirigente «ma la dottoressa Antonietta Caruso, funzionario responsabile dell’ufficio Foreste e Forestazione del distretto di San Giovanni in Fiore». Mariggiò non parteciperà mai all’incontro a Cosenza: «Effettuata l’inversione di marcia – spiega –, sono rientrato in Azienda, dove ero atteso da un consistente contingente di carabinieri forestali e da due cameramen di emittenti locali».
«PER IL COMANDANTE SONO STATO “FORTUNATO”» Mariggiò continua a raccontare quella singolare mattinata: «Accolto dal comandante della Stazione forestale di Cava di Melis, vengo informato che, essendosi proceduto all’arresto della Caruso, i militari hanno la necessità di effettuare la perquisizione del mio ufficio e di quello del dottor Antonio Maletta del settore Foreste per ricercare una pec inviata tempo prima dall’imprenditore boschivo Spadafora Antonio di San Giovanni in Fiore per “lo sblocco di una pratica di taglio”». La cosa stupisce non poco l’ex generale: «Ero completamente all’oscuro della pec e sapevo che lo Spadafora è attualmente detenuto per associazione per delinquere di stampo mafioso; la richiesta mi irritava non poco. Obtorto collo, letti gli atti del pubblico ministero, assistevo all’atto di polizia giudiziaria, al termine del quale gli operanti si spostavano nell’Ufficio del dottor Maletta che, benché fuori sede, dava indicazioni sul dove trovare la “nota ricercata”, pervenuta in Azienda in data 15 novembre 2017, non a mezzo pec, come inizialmente indicato, ma a mezzo posta raccomandata».
Il commissario straordinario ricorda anche una rapida conversazione con lo stesso comandante della Stazione di Cava di Melis: «Prima di lasciare gli uffici, fattami vedere la nota sequestrata, mi dava del “fortunato”, non avendo io visionato e vistato l’atto. Garbatamente mi preannunciava che in seguito, ad avvenuta cognizione degli atti processuali, avrei compreso il rischio corso. In attesa di visionare gli atti, che fare, quindi, se non ringraziare e manifestare riconoscenza».
LA PRATICA PARTITA NEL 2009 Le contestazioni contro Caruso e Spadafora sono pesanti. E, ricorda Mariggiò, «sono state ampiamente riprese dagli organi di stampa. A me preme precisare – spiega – che la pratica che la Caruso avrebbe dovuto “sbloccare” nasce nel lontano anno 2009, quando la ditta Spadafora di San Giovanni si aggiudicò con Afor un’asta pubblica di due lotti boschivi sulla Sila cosentina, pagando “cauzioni a garanzia” e parte delle “rate” previste dal bando per diverse migliaia di euro (almeno 70 mila)». Cosa sia successo dopo lo rievoca ancora il commissario straordinario di Calabria Verde: «Per problematiche amministrative conseguenti a un controllo dell’allora Corpo forestale dello Stato – mi dicono che a verbalizzare fu proprio l’attuale comandante della Stazione di Cava di Melis –, le operazioni di taglio, andate avanti a singhiozzo fino al 12 aprile 2012, erano state sospese a causa delle dimissioni di più direttori dei lavori. Tra il mese di aprile 2012 e quello di settembre 2015, la ditta Spadafora, per quello che ho potuto accertare, non mancava di inviare comunicazioni prima ad Afor, in seguito a Calabria Verde, per sollecitare un’autorizzazione alla ripresa dei lavori». Anni di sollecitazioni: soltanto una, però, è arrivata «a Calabria Verde nel corso del mio periodo di gestione commissariale, iniziato, ed è bene ricordarlo, l’11 aprile 2016. È stata quella sequestrata la mattina del 30 aprile dai carabinieri forestali di Cava di Melis».
«A CALABRIA VERDE È CAMBIATO TUTTO» Quella di Mariggiò potrebbe sembrare un’esternazione funzionale al suo “chiamarsi fuori” dalla vicenda. L’ex generale vuole chiarire anche questo aspetto: «Non scrivo per dimostrare la mia estraneità ai fatti. Anche se sono “sereno”, tale decisione dipenderà dalle valutazioni dell’autorità giudiziaria. Scrivo perché, da rappresentante legale di Calabria Verde, non accetto che venga messo in discussione quello che si sta facendo, con le risorse ed il personale a disposizione. Ci sono ancora tantissimi problemi di non facile soluzione da affrontare, ma nessuno può oggi affermare che l’attuale attività amministrativa di Calabria Verde ruoti attorno ad un sistema corruttivo».
STOP ALLE CONCESSIONI E qui l’uomo chiamato a risollevare l’agenzia dopo gli scandali giudiziari entra nel merito delle decisioni adottate negli ultimi due anni: «Non per bravura, ma per semplice timore, dal giorno del mio arrivo, non ho richiesto una sola concessione regionale per tagli boschivi; non ho mai organizzato una sola asta o bando pubblico per l’affidamento di lotti boschivi, benché in tantissime circostanze, anche nel contesto di manifestazioni pubbliche, sia stato sollecitato a mettere a frutto le rendite del patrimonio boschivo». E lo stop è destinato a durare «sino a quando non avrò la nuova struttura organizzativa che, solo grazie all’energico intervento del presidente della Regione, è finalmente approdata in giunta regionale il 22 marzo 2018».
Non si tratta di negare ciò che è avvenuto «in passato». Quando «di errori ne sono stati fatti tanti. In Afor, prima, in Calabria Verde, poi, per miopia politica e gestionale, si è consentito di tutto. Lo sottolineo, di tutto». Proprio per questo «non posso accettare che l’arresto della Caruso venga indicato come la conferma dell’esistenza di un illecito nuovo meccanismo di gestione delle concessioni boschive da parte di Calabria Verde».
«Nei miei due anni di permanenza in Calabria Verde – Mariggiò spiega il proprio approccio a uno dei dossier più scottanti in Regione –, grazie al sostegno dei tanti lavoratori onesti fortunatamente ancora presenti in Azienda, poiché convinto di trovarmi su di un campo minato e che più di qualcuno stesse sperando nello scoppio di una mina, mi sono sempre mosso con cautela, ho sempre fatto sul serio, sono sempre rimasto sveglio, ho sempre allontanato chi è incappato nelle maglie della giustizia, adottando, in silenzio, provvedimenti amministrativi sanzionatori di cui, in questa Azienda, se ne sconosceva ormai l’esistenza».
NUOVE INCHIESTE IN ARRIVO Ma perché sembra che il commissario si stia scomponendo? «Semplice – risponde –: sono mesi che assisto con tanta, tanta pazienza ad attacchi mediatici che legano vicende giudiziarie o provvedimenti amministrativi datati a contesti operativi attuali. Contestualizzazioni che rendono ancor più difficoltosa la ripresa dell’Azienda Calabria Verde che conta, lo rammento, più di 4.500 dipendenti. Nei prossimi mesi, saranno chiusi molti altri fascicoli processuali che ruotano attorno alla pregressa vita amministrativa di Calabria Verde, gemmati dai filoni investigativi principali, che vedendo coinvolti non pochi dipendenti, potrebbero richiedere ulteriori perquisizioni e accertamenti tecnici. Non posso pensare che a ogni chiusura d’indagine, per il solo fatto che un ufficio della Direzione o dei settori competenti siano sottoposti a perquisizione, io debba preoccuparmi di spiegare e giustificare scelte o prese di posizione personali».
LA CARUSO ALLONTANATA Poi, Mariggiò affronta direttamente il caso della funzionaria arrestata per la presunta tangente: «La Caruso, come tanti altri dipendenti oggetto di accertamenti giudiziari, è stata, per mia scelta, volutamente lasciata al suo posto. In presenza di evidenti segnali di attenzioni investigative sul suo conto (per indebiti utilizzi di guardie giurate che non mancheranno in un prossimo futuro di produrre altri effetti), era stata da mesi isolata e tenuta a debita distanza dalla Direzione. Non aveva poteri decisionali. Tutto quello che veniva da lei inviato in Azienda era attenzionato. Si attendeva con pazienza l’epilogo finale del suo agire, anche se, devo ammetterlo, non mi sarei mai aspettato il suo coinvolgimento in un episodio di corruzione di tale gravità, inizialmente qualificato dalla stampa quale concussione».
Qualche dubbio, tuttavia, Mariggiò lo avanza: «Non mi è comunque ancora chiaro in che modo o attraverso quale alchimia amministrativa la Caruso, o chi per e con lei, avrebbe potuto assicurare lo “sblocco” della pratica di taglio, nata, tra l’altro con Afor. Quella pratica, sulla base delle mie modeste conoscenze, avrebbe potuto essere, non definita, ma almeno presa in considerazione ai fini dello “sblocco”, soltanto dopo l’emissione di un provvedimento del dipartimento regionale competente di revoca della sospensione dell’iscrizione all’albo delle ditte boschive della ditta Spadafora. Quello stesso dipartimento regionale di cui si parla alla pagina 8 dell’ordinanza di custodia cautelare della Caruso a proposito di un incontro, da tenersi nell’imminenza delle festività natalizie, considerato utile ai fini dello “sblocco”».
DUE INCHIESTE: I LEGAMI TRA SPADAFORA E DE LUCA Il commissario ritiene inoltre difficile che qualcuno avrebbe potuto proporre di favorire l’azienda Spadafora «nonostante le informazioni in mio possesso sulle loro attività in Sila». E l’analisi si estende all’altra inchiesta della Procura di Castrovillari, quella sulla truffa della legna a Bocchigliero, che ha portato al rinvio a giudizio di otto persone (tra le quali la stessa Caruso e il capo di Gabinetto di Oliverio, Gaetano Pignanelli, ndr). «Nell’ambito del procedimento penale per il quale, in aprile, è stato disposto il rinvio a giudizio di tutti gli indagati, tra i quali la Caruso e altri dilettanti allo sbaraglio di Calabria Verde, vi sono ancora aspetti di non poco conto da chiarire. Primo fra tutti, l’esistenza, agli atti dell’indagine, di un contratto, acquisito dalla stessa Stazione Carabinieri Forestale di Cava di Melis, con il quale l’imprenditore boschivo Marino De Luca (uno dei principali indagati per la truffa, lo stesso che si dichiara «compare» di Pignanelli nelle intercettazioni, ndr) si era impegnato a conferire alla ditta Spadafora il materiale legnoso giacente sul letto di caduta del bosco del Comune di Bocchigliero».
«SPADAFORA DICA CHI LO HA AIUTATO» Questo materiale proveniva «dall’utilizzo della concessione ricevuta da Calabria Verde, costata al De Luca Marino 5mila euro, e che, tra luglio e settembre 2015, aveva già fruttato allo stesso più di 70mila euro». Il nodo della vicenda è che al tempo «la Società Spadafora era già sospesa dall’elenco regionale delle ditte boschive» e, riflette Mariggiò, «devo ammettere che, non uno, ma tutti i componenti della stessa società, in quanto rimasti al di fuori dell’indagine che ha portato al procedimento penale, debbano considerarsi di molto più “fortunati” di chi scrive. Una fortuna che, se non fosse stato per la qualificazione del reato commesso dalla Caruso in corruzione (qualificazione, operata dal pubblico ministero) li avrebbe sin anche visti parte lesa in questo nuovo procedimento».
«Qualunque sia la posizione degli Spadafora – conclude Mariggiò – nel procedimento della Caruso, auspico che qualcuno di loro abbia almeno il coraggio di “fare” finalmente i nomi di coloro che dall’interno di Afor, di Calabria Verde, degli Uffici della Regione Calabria e dall’interno delle istituzioni presenti sul territorio, hanno loro assicurato nel tempo vantaggi, facilitazioni, coperture nella conduzione delle attività boschive illecite». (ppp)
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