Alla ‘ndrangheta sarebbe stato affiliato solo nel 2016, mentre era in carcere, ma il suo vero battesimo criminale c’era già stato cinque anni prima, il 12 agosto del 2011, quando era stato ingaggiato per una trasferta omicida a Gallico, periferia di Reggio. All’epoca Nicola Figliuzzi aveva appena 20 anni e, pur avendo già maneggiato delle armi, non aveva mai sparato a nessuno. Oggi invece è un pentito che ne ha viste tante, nonostante non abbia ancora 30 anni, e che può rivelare molto sulle dinamiche criminali della ‘ndrangheta, non solo di quella del Vibonese da cui proviene. Originario di Sant’Angelo, frazione di Gerocarne, Figliuzzi è stato al servizio dei clan Patania prima e Loielo poi, due gruppi legati direttamente al boss Pantaleone “Scarpuni” Mancuso, considerato il vero regista delle sanguinarie faide tra queste due “famiglie” e le cosche rivali dei Piscopisani e degli Emanuele.
LA PRIMA VOLTA Come sia stato assoldato la prima volta come killer Figliuzzi lo racconta ai magistrati della Dda di Reggio Giuseppe Lombardo e Sara Amerio, che lo interrogano il 13 dicembre del 2017, circa un mese dopo la sua decisione di collaborare con la giustizia. I verbali sono contenuti nell’ordinanza con cui il gip di Reggio ha disposto l’arresto di tre persone (qui la notizia) per l’omicidio di Giuseppe Canale.
Il primo contatto con questo mondo Figliuzzi lo avrebbe avuto nel 2010. Lui lavorava con il legname in montagna e per lavoro si è trovato con due persone di Oppido Mamertina, Diego Zappia e Salvatore Callea, che a un certo punto gli avrebbero proposto di compiere un omicidio a Reggio. Lombardo si stupisce della facilità con cui si sarebbe arrivati a questa “proposta” e Figliuzzi spiega che di lui quelle persone si fidavano ciecamente, perché «sapevano che non andavo a raccontare le cose in giro». E poi la sua famiglia aveva dei “comparaggi” ad Oppido: «Rispettavamo tutti, ci siamo sempre comportati bene». Insomma lo conoscevano bene, qualche volta avevano anche sparato in montagna per provare qualche arma, ma queste persone non gli avevano mai parlato di ‘ndrangheta. E non lo fanno neanche quando gli propongono di compiere l’omicidio dicendogli che sarebbe stato ricompensato con 10mila euro. Lui all’epoca aveva «bisogno di soldi» e quindi ha accettato.
LA VITTIMA Figliuzzi lo avrebbe scoperto solo dopo, ma la vittima designata della sua trasferta di morte era Giuseppe Canale, all’epoca 40enne, che era ritenuto l’autore dell’omicidio del capocosca Domenico Chirico, ucciso nel settembre del 2010. Un regolamento di conti interno alle cosche di Gallico, dunque: il gruppo degli “eredi” criminali di Chirico aveva deciso, stando al racconto del pentito, di consumare la vendetta di sangue e di riappropriarsi così di quel territorio. Per farlo si sarebbero rivolti proprio a Callea, che per gli inquirenti sarebbe stato un vero reclutatore di killer al servizio delle cosche di ‘ndrangheta.
UN GIORNO DA KILLER È ancora molto presto quando, la mattina del 12 agosto 2011, Callea va in auto a Sant’Angelo di Gerocarne a prendere Figliuzzi e un altro 20enne suo compaesano, Cristian Loielo, che lo avrebbe affiancato nella missione omicida. Dalle Preserre vibonesi i tre si dirigono verso Reggio e arrivano a Gallico, in un panificio in cui incontrano delle persone che consegnano loro le pistole, una 9×21 e una calibro 38. Le armi erano nascoste dentro le ceste di pane, e i padroni di casa regalano ai futuri killer anche qualche filone da portare a casa. Poi, stando al racconto reso ai pm da Figliuzzi, il gruppo si trasferisce in un terreno nei pressi del cimitero di Gallico, dove arrivano altre tre persone che spiegano loro le abitudini della vittima e le modalità con cui portare a termine l’agguato. «Volevano questa vendetta per il fatto che gli avevano ucciso uno zio», ovvero Domenico Chirico, e spiegavano che a causa di quella morte «avevano perso parecchi soldi». Segue un sopralluogo in auto al bar dove la vittima è solita giocare a carte, quindi il recupero di un motorino rubato da un ricettatore straniero, poi il ritorno nei pressi del cimitero. Lì dopo un po’ arriva il via libera: Callea va a piazzarsi con l’auto ad aspettare i due killer e loro, ricevuta una descrizione fisica della vittima e del suo abbigliamento, partono a bordo dello scooter.
LA PISTOLA NEL MARSUPIO «Io avevo la 9×21 nel marsupio e Loielo aveva la 38 nella tasca», racconta Figliuzzi. È quindi lo stesso pentito a indicare la vittima al suo compagno, così Loielo scende dal motorino e inizia a sparare. Neanche lui, però, ha una grande esperienza in materia, così ferisce Canale solo a una gamba. Gli altri avventori del bar sono in preda alla paura e si dileguano in pochi secondi. La vittima scappa, Loielo la rincorre ma finisce i colpi. Così Figliuzzi si dà all’inseguimento in motorino e Canale gli scaglia contro un bidone dell’immondizia. Gli istanti successivi il pentito li racconta così: «Io ho buttato il motorino a terra e ho iniziato a sparare. Lui è caduto in mezzo a due macchine. Mi sono avvicinato perché il mio compito era quello là perché loro mi hanno detto che doveva morire. Mi sono avvicinato, ho scaricato la pistola, ho preso di nuovo il motorino e me ne sono tornato indietro».
IL RITORNO A CASA Figliuzzi corre nel luogo stabilito per bruciare il motorino, prende la bottiglietta di benzina che ha sotto il sellino, ci mette dentro la pistola, poi dà fuoco a tutto e va nel posto in cui lo aspetta Callea. Loielo fugge a piedi e poi viene recuperato in auto da una delle persone che prima gli avevano impartito le indicazioni per l’omicidio. Gli hanno già fatto il biglietto del treno con cui la sera stessa sarebbe tornato alla stazione di Vibo-Pizzo e poi a Sant’Angelo. Figliuzzi invece è andato via subito da Reggio: si è nascosto tra i sedili dell’auto di Callea che, dopo aver superato lo svincolo di Villa, lo ha fatto rialzare e passare avanti, per poi riportarlo direttamente a casa in auto. Loielo e Figliuzzi si rivedono il giorno dopo a Sant’Angelo, il primo chiede spiegazioni al secondo sul perché lo ha lasciato da solo sul posto dell’omicidio. I due si chiariscono e si mettono d’accordo per andare a riscuotere i soldi. Comincia così un percorso criminale che di lì a poco li avrebbe portati sulla strada insanguinata delle faide vibonesi.
Sergio Pelaia
s.pelaia@corrierecal.it
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