Il ministero dello Sviluppo Economico con decreto del 7 dicembre 2018, pubblicato sul Buig (Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse) del 31 dicembre 2018, con buona pace di tutte le dichiarazioni contro le trivellazioni fatte in campagna elettorale, ha concesso di certo numero di permessi di ricerca di idrocarburi (trivellazioni) nei mari italiani. Tra questi, un permesso di ricerca in particolare riguarda la Calabria, e, più nel dettaglio, il tratto di mare di fronte al Comune di Isola Capo Rizzuto per un’estensione di 729 kmq.
Quella che si realizza attraverso la trivellazione è una sorta di roulette economica, un gioco d’azzardo ai danni dei territori, attraverso il quale le compagnie petrolifere compiono ricerche ad ampio spettro confidando nel colpo di fortuna. Dati i costi contenuti delle concessioni, nel caso della Calabria per avere l’autorizzazione a trivellare un’area di 729 kmq si pagano solo 4082,4 euro l’anno, le compagnie petrolifere bucano a caso nei mari italiani sapendo che se anche si riuscisse, a fronte di un investimento minimo, a scoprire anche un piccolo giacimento, si potrebbe avere un profitto di gran lunga superiori ai costi. Inoltre, l’attività di trivellazione, anche se improduttiva, genera un ritorno in termini di sperimentazione di nuove tecnologie estrattive.
Considerando il fatto che l’Italia non è l’Arabia Saudita e che il petrolio realmente presente nei mari italiani è decisamente scarso, questa spasmodica attività di ricerca ha poco senso dal punto di vista economico per l’Italia e per la Calabria.
Inoltre, questa attività di trivellazione non è indolore per il territorio e per l’ambiente. Accanto alla distruzione di biodiversità marina, le trivellazioni producono inquinamento da idrocarburi e metalli pesanti del mare che attraverso la pesca vanno ad impattare sulla catena alimentare umana. Le trivellazioni producono anche delle non perfettamente quantificabili, allo stato attuali delle conoscenze, perturbazioni all’equilibrio geologico del fondale marino.
Si tratta di una operazione priva di vantaggio economico per i territori e che trasforma il mare calabrese in un laboratorio di ricerca “in vivo” per sperimentare nuove tecniche di ricerca degli idrocarburi all’interno di un gioco d’azzardo che sfrutta indiscriminatamente i territori.
Sarebbe opportuno che la Regione Calabria impugnasse il decreto di concessione del permesso, come probabilmente faranno altre regioni interessate, in modo da tenere alto il principio che i calabresi non sono più disposti ad accettare lo sfruttamento indiscriminato delle proprie risorse territoriali e non sono più disposti ad avallare operazioni che possono risultare dannose per le proprie risorse ambientali.
*docente di Politica economica Università “Mediterranea” di Reggio Calabria
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