di Paolo Pollichieni e Pablo Petrasso
LAMEZIA TERME Devastante. Non esiste un termine migliore per indicare sin da subito la portata dell’indagine che la Procura di Napoli ha avviato, su input della Procura distrettuale di Salerno e della Procura ordinaria di Benevento, una storiaccia che non ha a che fare soltanto con l’attività di spionaggio o con infiltrazioni in indagini delicatissime. Vi è molto di più nell’inchiesta rimbalzata sulle prime pagine dei giornali nazionali: si tratta del tentativo di spiare e manipolare la vita di importanti magistrati che conducono inchieste delicatissime, di giornalisti e di esponenti delle forze di polizia.
Vi è molto di più anche con riferimento a ciò che accade (ed è accaduto) in Calabria: perché è in Calabria uno degli epicentri della spy story. Grazie (si fa per dire) a centinaia di intercettazioni ambientali mai autorizzate. E a tirare i fili di questo “teatro” non ci sarebbero solo gli indagati della parte “industriale” e informatica dell’inchiesta (ve lo abbiamo raccontato qui) – finiti fin qui nelle cronache –: ci sarebbero anche due grossi esponenti politici calabresi e un esponente della polizia in servizio in Calabria e già in passato distaccato alla Dda di Reggio.
Questi – è una delle ipotesi al vaglio degli investigatori campani – avrebbero agito con la complicità indispensabile di alcuni magistrati e di alcuni sottufficiali dei carabinieri.
Facciamo un passo indietro per riannodare i fili.
IL POLIZIOTTO E SUA MOGLIE Sono quattro gli indagati che – su ordine della Procura di Napoli – hanno subito il sequestro di tutti i server e i macchinari delle aziende Stm e Esurv, gestore e creatore del software Exodus, in teoria destinato alle sole indagini di polizia giudiziaria ma finito di fatto nei cellulari anche di ignari cittadini. Giuseppe Fasano, Salvatore Ansani, Marisa Aquino, Vito Tignanelli (questi ultimi marito e moglie; Tignanelli è un poliziotto in servizio alla Questura di Cosenza, ndr) sarebbero tutti responsabili a vario titolo di reati tra i quali intercettazione abusiva e frode informatica. I quattro indagati sono l’amministratore legale e il direttore delle infrastrutture It della Esurv, la società produttrice del spyware, oltre il rappresentante legale e l’amministratore di fatto (Aquino e Tignanelli, appunto) di una delle società sequestrate, la Stm srl.
IL FILO DI ARIANNA La sede operativa di questa società viene sequestrata alcuni mesi fa dalla Procura di Benevento: inizia così una lunga ricerca. I magistrati mettono nel mirino le sedi dell’azienda, alcune quasi “clandestine”. E il filo di Arianna si snoda fino a incrociarsi con altre indagini. Accade con il rinvenimento, all’interno di un ufficio in uso al maresciallo Carmine Greco – poi arrestato dalla Dda di Catanzaro per sospette collusioni mafiose – di alcune chiavette usb e di un computer con dentro materiale che avrebbe ricondotto all’attività clandestina della Stm, cioè a quella parte di servizi non autorizzati dai magistrati delle Procure che pure si erano servite della ditta. Non basta: gli investigatori ipotizzano anche che la Stm fosse solo formalmente intestata ad Aquino. Ed è qui che scovano un altro incrocio: si tratta della moglie di un esponente della Polizia di Stato di Cosenza tutt’ora in servizio. Il legame tra i due e il fatto che il marito fosse il reale rappresentante di Stm sarebbe stato noto anche a diversi magistrati che pure continuavano a trattare con il poliziotto mentre ricevevano la corrispondenza ufficiale e affidavano le deleghe alla società informatica. Fatti che, se confermati, sarebbero gravissimi: magistrati che parlano di segreti d’ufficio con esponenti delle forze dell’ordine senza che questi abbiano, di fatto, alcun titolo per venirne a conoscenza. Il tutto in un contesto di “spionaggio” che definire oscuro è un eufemismo. (redazione@corrierecal.it)
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