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Lamezia, il Vescovo celebrerà la messa nel bene confiscato alla mafia

Don Panizza: «ll messaggio a chi lavora nel sociale non è solo di aiutare i più deboli, ma è la loro emancipazione»

Pubblicato il: 17/04/2019 – 16:35
Lamezia, il Vescovo celebrerà la messa nel bene confiscato alla mafia

LAMEZIA TERME Giovedì 18 alle 16, mons. Luigi Antonio Cantafora, vescovo della Diocesi di Lamezia, celebrerà la Messa in Coena Domini nella “Casa-famiglia Dopo di noi” della Comunità Progetto Sud. Il palazzo di via dei Bizantini, bene confiscato alla mafia ed affidato alla Comunità Progetto Sud nel 2002. 
L’opportunità data dalla normativa sul riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati alle mafie, ha permesso che dal 2009 il palazzo divenisse punto di riferimento del territorio, oltre che luogo di accoglienza e di vita per persone sole con disabilità grave e gravissima e prive del sostegno familiare o con famiglie in difficoltà e, dal 2011, anche per i minori stranieri non accompagnati della Comunità Luna Rossa. 
Oggi sono 16, tra operatori, educatori specializzati e personale ausiliario, le persone impiegate nei servizi, ci vivono 18 minori non accompagnati e 6 adulti con disabilità. 
La celebrazione del Triduo pasquale inizierà nel salone della casa e vuole essere un momento di vicinanza alle persone che abitano quel luogo durante l’anno, ma anche un monito per la popolazione lametina e calabrese per riprendere il controllo della propria libertà quotidiana e del proprio territorio. Il valore aggiunto della celebrazione risiede infatti nel luogo scelto: quella che prima era una dimora dell’illegalità, oggi dev’essere un punto di ritrovo stabile per l’intera comunità.
«Celebrare la cena del Signore in un bene confiscato alle mafie, insieme alle persone fragili, è un gesto religioso, tiene la Chiesa ai piedi dell’umanità crocifissa e interpella i popoli, le culture e i poteri: valutate voi se questo possa essere qualificato anche come un gesto politico – dice don Giacomo Panizza, presidente della Comunità Progetto Sud – per chi svolge un lavoro sociale professionale o di volontariato, ‘lavare i piedi’ a chi è vulnerabile rammenta che è per gli ammalati che esiste l’ospedale; per i bambini che esiste la scuola; per gli ultimi che esistono i primi, e non per mantenerli ammalati, ignoranti o ultimi. Gesù, dopo aver lavato i piedi agli apostoli, disse intenzionalmente: “Vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi’” Il messaggio a chi lavora nel sociale non è solo di aiutare i più deboli, ma è la loro emancipazione; è quello di far strada agli ammalati, ai bambini e agli ultimi affinché essi posseggano a loro volta la dignità di “potere” aiutare e amare gli altri».

f. d.

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