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CAFFÈ EUROPE | Il Manneken Pis e l’inatteso che entra nella storia

di Salvatore Scalzo

Pubblicato il: 02/05/2019 – 9:34
CAFFÈ EUROPE | Il Manneken Pis e l’inatteso che entra nella storia

All’angolo di Rue de l’Étuv e Rue du Chêne, in pieno centro di Bruxelles, perennemente circondata da turisti, si erge una statuetta alta pressappoco 50 centimetri: un bimbo proteso a urinare su una fontana sottostante. E’ il conosciutissimo Manneken Pis, che si può tradurre semplicemente con “Il ragazzo che piscia”. Esistono pochi esempi di statua, gesto, storia mescersi insieme a epitomo di un costume e identità collettivi. I Brussellesi vanno più o meno convintamente orgogliosi della loro statuetta. Essa rappresenta un simbolo della “hubris” cittadina, dell’insolenza che sentono, a ragione o a torto, come elemento caratterizzante del carattere degli abitanti.
Se da un lato, statua e gesto rinviano in maniera diretta e senza filtri a un’immagine granitica d’insolenza, d’altro lato, la storia e le leggende che circondano la statua svelano altri aspetti o tinte molto interessanti.
Infatti se la versione ufficiale sulle sue origini, che pare risalgano al Basso Medioevo (XIV secolo), considera il ritratto del bimbetto irriverente come un voluto omaggio ai conciatori (i conciatori medievali lasciavano che i bimbi facessero pipì sulla pelle in lavorazione per renderla più elastica), diverse altre leggende o versioni segnano i vari secoli.
Una, la più popolare di tutte, indica che la statua sarebbe un omaggio a un ragazzino che avrebbe salvato, in un punto imprecisato della storia, la capitale belga da un attacco mortale. Secondo questo copione, Bruxelles si sarebbe trovata in stato d’assedio. Un giorno, i nemici apparvero in ritiro, ma in realtà avevano messo tonnellate di polvere nei sotterranei della città. Il ragazzino vide la miccia accesa ed ebbe il riflesso di urinarci sopra per spegnerla, salvando la città dal disastro.
Una storia, forse più credibile, descrive Manneken Pis come un bambino scomparso durante i festeggiamenti in città. I genitori in preda al panico cercarono per giorni finché non lo trovarono a fare pipì all’angolo della strada.
In un’altra leggenda, il ragazzino è in realtà una figura storica, il duca Godfrey III di Lovanio. Da bambino, alla morte del padre, i cavalieri impegnati al servizio della sua famiglia avevano chiesto e ottenuto di poter vedere e portare con se l’immagine fisica di ciò per cui stavano combattendo. Per questo il bimbetto fu messo in una cesta appesa a una quercia, per incoraggiare i cavalieri che combattevano in suo onore. Secondo la leggenda, durante i lunghi combattimenti, ogni tanto il bambino si alzava e faceva pipì sulle teste dei suoi nemici.
Come in tutte le leggende popolari, conta poco quale tra di esse affondi le proprie radici nella verità della storia reale. Ognuna di queste ha un senso e una verità e restituisce un pezzo di significato e di valore alla statua stessa. E se, appunto come scrivevo inizialmente, uniamo statua, gesto e le varie narrazioni che circolano sull’argomento, troviamo un racconto simbolico abbastanza complesso, che è racconto d’insolenza, di spregiudicatezza, di leggerezza, di abbandono della solida casa dei padri e di ingresso dell’inaspettato e della sorpresa nella storia degli uomini.
Ammetto, forse per deformazione professionale, anzi passionale, che già molti anni addietro, quando mi trovai a leggere la storia e le leggende del Manneken Pis, pensai immediatamente che quella statua mi rimandava simbolicamente a una certa immagine o visione della politica o dell’atto politico che avevo molto a cuore.
Ero e resto convinto che la vera politica, la politica che ha una qualche ambizione di cambiare le cose nel profondo, può essere tale solo quando con insolenza, velocità e magari con leggerezza coglie di sorpresa una certa configurazione del potere dominante in un dato momento storico, senza darle il tempo di capire o quanto meno di reagire.
Il cambiamento politico ha attimi segnati, più o meno brevi, finestre pronte a chiudersi inesorabili sul tracciato inerte e ripetitivo della storia. Oltre quel tempo breve e magico, esso viene recuperato dai padri, riportato nel meandro dei festeggiamenti in città, istituzionalizzato e neutralizzato.
Ma che riesca o no, quell’atto politico di cambiamento è il sale stesso della storia. E’ la risposta alla domanda di sempre sul “perché stiamo combattendo”, è il gesto naturale e leggero che salva le città dalle bombe piantate sotto la sua superficie.
La politica vera si riassume nell’irruzione dell’inatteso nella storia, laddove l’atteso è un blocco immenso di cemento che volge lo sguardo in avanti ma cammina lentamente e inesorabilmente all’indietro.
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Arrivederci al 13 maggio per il prossimo appuntamento con “Caffè Europe”.

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