«La libertà comporta responsabilità: ecco perché tutti ne hanno paura».
Vale più di mille discorsi il monito del drammaturgo George Bernard Shaw e spiega molte cose, anche di quelle ascoltate e vissute nelle ultime settimane da un Paese ormai talmente abituato a sbirciare il futuro dall’orlo di un precipizio da non far più caso ai rischi insiti in una libertà falsa perché fondata sulla diffusa irresponsabilità.
Il dibattito intorno alla responsabilità, come chiave del presente e del rapporto con le generazioni future, è assurto a questione centrale a mano a mano che l’uomo è diventato nei confronti della natura più pericoloso di quanto essa una volta fosse per lui, mentre alle tante fratture sociali che ostacolano l’armonia tra gli uomini e tra essi e la natura s’è aggiunta la contraddizione, quando non il contrasto, tra l’oggi ed il domani: se ne percepisce la portata anche in queste ore di crisi politica ed instabilità.
È difficile sostenere la bellezza di questi concetti, e la loro incidenza nella pratica di ogni giorno, in una società che tende a considerare assurdo tutto ciò che non le riesce di identificare con il proprio interesse. Eppure, un’etica della responsabilità, già suggerita da Hans Jonas, è indispensabile, se si vuole assicurare il posto dovuto – nell’idea di progresso come nell’agenda politica – a temi quali la dignità e i diritti dell’uomo. Per riuscirvi, occorre sottrarre la condizione umana allo stato di minorità in cui si trova, stretta tra gli estremi dello Stato-tutto e dell’individuo-solo. Ecco perché occorre ritornare ad avere il coraggio dei grandi valori di cui è piena la nostra storia; a ricercare la bellezza non in senso estetico, ma come autenticità; a ritrovare la grande responsabilità sociale e culturale testimoniata da san Francesco, implicante la capacità di abbandonare i piccoli orizzonti e fare grandi cose, con un pizzico di sana utopia.
È tempo di profeti, anche laici, come ve n’erano nella Bibbia, al pari di Amos. C’è bisogno di figure profetiche anche in politica, come già nell’immediato secondo dopoguerra: persone capaci di parlare al cervello ed al cuore, di mostrare la realtà nella sua essenza effettiva, indicando – tramite un grande ventaglio di ideali – le strade da imboccare per diventare consapevoli di un impegno appassionato e dare speranza di futuro. Insomma, è il tempo della responsabilità, come la intendeva Emmanuel Lévinas: ciò che davvero assicura libertà è responsabilità per l’altro (che se ne fa responsabile), assumendone l’esistenza fino a sostituirsi a lui, se e quando necessario. È richiesta pertanto l’assunzione di un surplus di responsabilità, così da indurre l’io a rinunciare alla tentazione egemone ed a rifiutare l’aspirazione mal celata di affermarsi sopra e contro tutti. «Noi siamo responsabili anche per gli altri», chiosava un grande scrittore laico come Ignazio Silone. Una grande lezione, in un mondo di venditori di fumo, per i quali vale la definizione sferzante di un altro pensatore laico, Jean Paul Sartre: «Quando non si fa nulla, ci si crede responsabili di tutto».
*arcivescovo diocesi Catanzaro-Squillace
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