di Maria Rita Galati
CATANZARO Elegante e raffinata, esile e potente, suadente e tremendamente rock. Eclettica come solo lei sa essere, intensa e decisa, ‘femmina’ del profondo Sud. “L’ultimo bacio” che la Cantantessa Carmen Consoli lancia dal palco del teatro Politeama “Mario Foglietti”, chiudendo proprio da Catanzaro il suo tour “L’eco delle sirene” pronto a traversare l’Oceano per approdare in America, è il primo di una lunga serie di carezze armoniche che si alternano ad fremiti rock, spinti con l’energia della sua “chitarra anarchica”.
Il Festival d’Autunno, giunto alla sua XVII edizione – grazie alla determinazione del direttore artistico, Tonia Santacroce – continua ad offrire prima di tutto l’opportunità di ascoltare buona musica dal vivo nella suggestiva cornice di un teatro. E, soprattutto, di imbattersi in artisti della qualità umana e del talento di Carmen Consoli, anche ieri sera coraggiosamente se stessa. Sul palco del Politeama – dove si stagliano quattro croci luminose che assieme agli strumenti costruiscono una scenografia essenziale – le luci si rincorrono al ritmo del rock, elettriche e spasmodiche per finire sempre ad illuminare lei, ferma sui tacchi vertiginosi e sicura in quel vestito blu che la rende ancora più affascinante.
“Doma” la chitarra anarchica mentre lancia i plettri, quasi sfogliando le canzoni e le emozioni, senza rinunciare ad essere autentica, nel raccontare e raccontarsi attraverso musica e parole che appartengono a quel pubblico che la chiama, la adora, la incita, la applaude. Pronta a dire sempre quello che pensa, come quando, introduce la forte e cruda “Mio Zio”, storia non autobiografica di una violenza familiare subita da una giovanissima nipote. «Bisogna porre fine a questo scempio – riferendosi alla violenza fisica e psicologica sulle donne – il problema è questa subcultura, del più forte sul più debole. Ieri c’è stata una bella manifestazione a Parigi, un corteo di 114 persone, come il numero di donne uccise dal proprio partner p ex compagno nel 2019, nel Paese: hanno sfilato con cartelli che rappresentavano pietre tombali e leggendo il nome e l’età di ogni vittima. Ecco, lasciamo ai porci il lusso di usare violenza».
“Per niente stanca” a “Bésame Giuda”, “Fiori d’arancio”, “AAA Cercasi”, “Contessa Miseria”; e poi ancora “L’abitudine di tornare”, “Parole di burro”, “In bianco e nero”, “Sentivo l’odore”, e poi ancora le celebri “Confusa e felice”, “Venere”, prima dei saluti finali dei bis “Blunotte”, “Guarda l’alba” e “Amore di plastica”. Da un successo ad un altro, le canzoni di un concerto che la stessa Carmen sembra non voler far finire mai.
Ma il regalo più bello che fa al suo pubblico adorante è quella confidenza “ciarliera” che fa tanto affetto e intimità, mentre parla del suo Carletto e dei suoi giocattoli, richiama le ammonizioni e i consigli di nonna Lina e le radici di una Sicilia che le scorre dentro, evocando bellezza e contraddizioni: come quando il ponte della chitarra anarchica si sposta, e lei ironizza «noi siciliani abbiamo avuto sempre problemi con i ponti». Vanta, perfino, parentele calabresi, un rapporto forte con una regione così vicina ma nello stesso tempo lontana per essere comunque continente. E mentre gli spettatori soddisfatti sciamano fuori guadagnando l’uscita torna ad irrompere sul palco con la sua chitarra anarchica e blu – lasciando a riposo Massimo Roccaforte alla chitarra, Luciana Luccini al basso e Antonio Marra alla batteria, oltre alla pianista Elena Guerriero – per salutare e ringraziare Catanzaro con “Stranizza d’amuri” di Franco Battiato, “Cu ti lu dissi” di Rosa Balistrieri e la sua “A’ finestra”. Grazie a te, Carmen. (redazione@corrierecal.it)
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