CATANZARO La Corte d’Assise di Catanzaro ha rigettato la richiesta della Regione di costituirsi parte civile nel processo sull’omicidio di Matteo Vinci, ucciso a 42 anni a Limbadi nello scoppio di un’autobomba avvenuto il 9 aprile 2018. Stessa decisione per il Comune di Limbadi e uguale anche il motivo: la richiesta è stata presentata oltre i termini previsti dalla legge. Sul banco degli imputati, nel processo iniziato lo scorso 17 settembre, ci sono Rosaria Mancuso (64enne sorella di alcuni boss del casato mafioso vibonese) e il genero Vito Barbara (28 anni), che per l’accusa sarebbero «ideatori e promotori del delitto» in concorso con altri soggetti non identificati; alla sbarra anche la figlia Lucia (29) e il marito Domenico Di Grillo (71). I quattro imputati sono accusati, a vario titolo, di omicidio, del tentato omicidio del padre di Matteo, Francesco, nonché di detenzione e porto illegale di esplosivo, lesioni personali, armi e tentata estorsione, reati tutti aggravati dalle modalità mafiose.
L’avvocato Giuseppe De Pace, che rappresenta i genitori di Matteo, Sara Scarpulla e Francesco Vinci, commenta la notizia esprimendo, assieme ai suoi assistiti, «grande rammarico» perché volevano ci fosse nel processo «un fronte unico con le istituzioni e le associazioni antimafia come Libera, che invece sono del tutto assenti». «Ci hanno lasciati soli – prosegue De Pace – e la colpa non è certo né della Corte né delle parti offese, perché sono stati spesi finora fiumi di inchiostro per parlare della vicenda, ma semmai della sciatteria e della superficialità di chi ha presentato la richiesta con grande ritardo». La prossima udienza del processo è stata fissata per il 30 gennaio 2020, quando cominceranno a essere sentiti i primi testi a partire dal maggiore Valerio Palmieri, comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri di Vibo. (ale.tru)
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