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I forzati del Coronavirus: perché i call center non si fermano

Lo smart working per i lavoratori che si occupano dell’assistenza ai clienti è ostacolato da burocrazia e permessi. Dopo il primo caso di contagio, le preoccupazioni si amplificano e tra gli impieg…

Pubblicato il: 20/03/2020 – 22:14
I forzati del Coronavirus: perché i call center non si fermano

di Michele Presta
COSENZA
L’ordinanza del sindaco di Montalto è rimasta appesa al filo delle disposizioni che di questi periodi vengono disposte ma puntualmente violate. Nei call center la vita scorre normale, scandita da qualche turno di ferie obbligatorio giusto per permettere agli impiegati di mantenere le distanze di un metro. L’episodio del primo contagio accertato nella struttura di Datel di Crotone (qui la notizia) fa scoppiare il focolaio delle proteste tra i lavoratori e i rappresentanti sindacali. Di chi combatte per il proprio posto di lavoro ma allo stesso tempo vorrebbe mantenere integra la propria salute. Esploso il bubbone del Coronavirus e del conseguente divieto di assembramento, la questione degli impiegati che si occupano di assistenza da remoto è stata tra le prime ad essere sottoposta all’attenzione di chi sta cercando di fronteggiare la crisi, ma ad oggi, negli impianti di Crotone, Montalto Uffugo, Lamezia Terme e Catanzaro il lavoro procede spedito. Lo stretto giro di incontri tra datori di lavoro e parti sindacali è quasi quotidiano. È una lotta impari quella tra il profitto e la salute. I punti che l’azienda registra come capisaldi della salubrità del posto di lavoro sono puntualmente contestati dalle rappresentanze dei lavoratori. Cominciando dai prodotti di sanificazione: l’azienda spiega di averne forniti a sufficienza e a base alcolica (comunque tra quelli indicati per rendere l’ambiente salubre) mentre i lavoratori spiegano come « il “Delfino Multiuso”, non sia a base alcolica e quindi non eserciterebbe azione antibatterica o antivirale». L’azienda ha comunque rassicurato che tutte le sedi sono state sanificate con prodotti disinfettanti e getti di vapore a 160° e che la documentazione degli interventi effettuati e dei prodotti utilizzati, è stata inviata ai Nas dei carabinieri. Le criticità però non cambiano neanche in riferimento al rispetto delle ordinanze. La sistemazione a scacchiera che garantirebbe il metro di distanza tra le persone per non essere infettati, a parere dei lavoratori viene violata dal personale di coordinamento delle attività produttive che: «si avvicina regolarmente agli operatori a meno di un metro di distanza per fare assistenza e operazioni maneggiando senza alcuna protezione individuale mouse e tastiera». Sembrerebbe non sortire gli effetti desiderati neanche l’apparecchiatura per la temperatura corporea. Problemi di privacy e organizzazione, sottolineano le sigle sindacali in un documento, «se non si può garantire l’installazione di un termo scanner, chiediamo che venga sospeso». Intanto il primo caso accertato di Covid-19 preoccupa e non poco la direzione. Infatti, proprio nella giornata di oggi, si è avviata la trattativa per attivare le condizioni di lavoro attraverso delle postazioni domestiche. Lo snodo da risolvere però in questa circostanza è quello delle licenze e del rispetto della privacy. Gli operatori dovrebbero fare tutto attraverso il propri supporti elettronici e questo comporterebbe la cessione di una quantità consistente e importante di dati oltre che all’acquisizione di licenze e problematiche di natura logistica e amministrativa. (michelepresta@corriereal.it)

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