COSENZA Blindare la Calabria e vigilare sui territori. Questa la soluzione profilata per arginare l’aumento di contagi da coronavirus dal presidente dell’Ordine dei Medici di Cosenza Eugenio Corcioni. «Sono preoccupatissimo per quello che succederà terminata questa fase ‘calda’. Quando vi fu l’epidemia di febbre spagnola – spiega Corcioni in un’intervista rilasciata all’Adnkronos – il maggior numero di morti è stato registrato al termine della guerra perché la popolazione si era riversata nelle strade a festeggiare, facendo venire meno il distanziamento sociale. Il risultato? Due milioni di decessi in un solo giorno. Ciò determinò l’aggravamento dei contagi della malattia che stava ormai per scomparire. Credo che questa emergenza durerà almeno tre mesi. Purtroppo è possibile anche senza contatto fisico infettare l’aria e veicolare il virus per questo è essenziale il distanziamento sociale».
LA PAURA «I miei colleghi – afferma il Presidente dell’Ordine dei Medici di Cosenza – sono spaventati dal fatto che possa esserci un grosso afflusso di pazienti, il problema è quindi quello di fermare l’espansione dei contagi. L’unica arma vera in Calabria è l’istituzione di zone rosse per limitare lo spostamento delle persone, circoscrivere i focolai, applicare quarantene severe. Se l’epidemia nella nostra regione rimane a questi livelli potrà essere gestita in maniera efficace. È necessario prendere misure impopolari ed antidemocratiche. Un esempio. La chiusura delle attività ordinarie ospedaliere, già attivata in Calabria con una direttiva chiara del presidente Jole Santelli. Altrimenti si rischia di mischiare soggetti sani a pazienti infetti». «Un tempo quando le epidemie erano molto più frequenti – ricorda Eugenio Corcioni – l’Igiene Pubblica era di dominio comune, non la diagnosi e cura. Si puntava sulla prevenzione e quando scattava l’emergenza tutti sapevano cosa bisognava fare attivando, con un metodo quasi militaresco, le quarantene in base allo studio del territorio. Un sistema di profilassi che funzionava benissimo, smantellato nel 1958 quando è stato poi creato il Ministero della Salute che prima, coordinato Ministero dell’Interno rispondeva ai prefetti, e che oggi va adeguato, potenziato e riorganizzato. Il Giappone che adotta ancora questo tipo di disciplina ha avuto ripercussioni minime e pochissimi decessi da Covid-19».
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