di Alessia Truzzolillo
CATANZARO «L’odierna indagine mette a nudo, per l’ennesima volta, un diffuso assenteismo nell’ambito di locali uffici pubblici; e si badi, un assenteismo non semplicemente generalizzato ed accettato, ma reso ancor più subdolo e riprovevole da una sorta di atteggiamento corporativo da parte di quegli stessi dirigenti che anziché reprimere siffatte condotte dei loro sottoposti, ne sono stati essi stessi protagonisti (ed in taluni casi finanche istigatori)». Con questo “incipit” il gip Claudio Paris avvia l’ordinanza cautelare che ha portato alla sospensione dall’esercizio pubblico (da tre mesi a un anno) per 15 dipendenti dell’Asp di Catanzaro e al sequestro di beni per un valore complessivo di circa 20mila euro nei confronti di 18 dipendenti (qui la notizia). In tutto gli indagati nel procedimento denominato “Cartellino rosso” sono 57. Sono accusati di assenze ingiustificate dal luogo di lavoro. Assenze che venivano comunque retribuite causando grave danno alle casse dello Stato, ovvero dei cittadini. Le indagini sono state condotte dalla Nucleo di Polizia economico-finanziaria (Gruppo tutela Spesa Pubblica) della Guardia di Finanza di Catanzaro, coordinata dal pm Domenico Assumma, dall’aggiunto Giancarlo Novelli e dal Procuratore Nicola Gratteri. Tre erano – secondo l’accusa – i modelli attraverso i quali si perpetrava l’assenza arbitraria dal lavoro: a) Allontanamento arbitrario dal posto di lavoro in carenza di alcuna autorizzazione o giustificazione, senza strisciare il proprio badge sul rilevatore marcatempo (né rilevando l’evento sul registro firme, per l’Asp). Sovente è stato rilevato come il dipendente rientrasse nella propria sede di servizio tenendo in mano buste della spesa o cartoni da pizza. b) Assenza dal luogo di lavoro da parte del lavoratore che risultava fittiziamente presente in servizio, quale conseguenza della cessione del proprio badge a terzi concorrenti che provvedevano a rilevare fraudolentemente l’inizio o la fine del servizio, attestando falsamente la presenza dell’interessato sul posto di lavoro. c) Allontanamento ingiustificato dal luogo di servizio, con successiva timbratura in uscita presso lettori badge presenti in altri uffici, vicini all’abitazione di residenza.
Per quanto riguarda la cessione del proprio badge a terze persone che strisciavano al posto del collega attestando falsamente l’entrata e l’uscita dal lavoro del dipendente, il gip sottolinea come questo comportamento riveli la «diffusività del fenomeno», ovvero «un’infedeltà del dipendente che anziché confinarsi a riservata, infima ruberia individuale di qualche elemento, assurge invece “a sistema collettivo”, nel quale tutti si beano di un’imperante e generalizzata sensazione d’impunità proprio perché tutti complici, controllori e controllati».
LE ASSENZE DEL SUPER MANAGER Tra gli indagati risultano anche dirigenti dell’Asp come Carlo Nisticò, direttore responsabile della struttura complessa “Gestione Tecnico-Patrimoniale” dell’Asp. Questi, stando alle certosine indagini delle Fiamme gialle, lasciava il proprio badge ai suoi sottoposti, determinandoli a commettere il reato. Un esempio su tutti che il gip giudica tra i più eclatanti: il 16 marzo 2017 il dipendete Antonio Aloi, per coprire l’assenza di Nisticò striscia il badge personale di quest’ultimo alle 9.44 del mattino. Nisticò, registrano gli investigatori, arriverà con tutto comodo alle 15:43 del pomeriggio. Tra l’altro fa specie che Nisticò – già consigliere comunale di Catanzaro – sia uno dei dirigenti più pagati dell’Asp: 158,127,14 euro lordi annui (almeno secondo i dati disponibili al 2015). Oltre all’episodio già citato, gli inquirenti, nell’arco di quattro mesi contano 37 episodi posti in essere «nel suo esclusivo vantaggio per una complessiva assenza di oltre 46 ore ed un ingiusto profitto in termini di retribuzione non dovuta di oltre 2.600 euro». Il super manager dell’Asp, per perpetrare le proprie truffe lasciava generalmente il badge a quattro sottoposti per Giuseppe Folino Gallo, Francesco Salvatore Sinopoli, Leonardo Notaro e Antonio Aloi. Il sistema andava avanti in un clima di “imperante e generalizzata sensazione d’impunità proprio perché tutti complici, controllori e controllati”. Un clima spezzato dall’intervento dell’operazione “Cartellino rosso”. Che è costata a Nisticò un anno di sospensione. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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