REGGIO CALABRIA Il duplice omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo fu il sigillo dell’adesione della ‘ndrangheta al progetto stragista di Totò Riina. A confermarlo oggi, nell’aula della Corte d’Assise di Reggio Calabria, il collaboratore di giustizia Giuseppe Di Giacomo, pentitosi nel 2008 dopo sedici anni di reclusione, deponendo nel processo ” ‘ndrangheta stragista”. Di Giacomo, “reggente” della cosca catanese dei Laudani “mussu i ficu d’india”, una costola del clan Santapaola, rispondendo alle domande del presidente della Corte Silvia Capone, del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dell’avvocato Giuseppe Aloisio, difensore di Giuseppe Graviano, ha ricostruito gli scenari che portarono all’adesione di “Cosa nostra” catanese al progetto stragista di Riina, i malumori dei catanesi per l’imposizione di Leoluca Bagarella di indicare rappresentante di Cosa nostra a Catania il fido Santo Mazzei. «I calabresi – ha detto Di Giacomo collegato in videoconferenza – avevano già fatto un “favore” a Totò Riina assassinando il giudice Scopelliti, per ripagare il suo intervento di mediazione per porre fine allo scontro armato tra i De Stefano e i loro avversari. Ma oltre i De Stefano, al progetto stragista avevano aderito i Piromalli, i Condello, i Mancuso, Coco Trovato, Pesce “testuni” e un Bellocco». Di Giacomo ha inoltre sostenuto che «oltre la riunione di Enna dell’estate del 1992, altre riunioni si tennero a Mazara del Vallo, Alcamo, Castelvetrano, Caltanissetta, dove furono programmati attentati, come quello contro la caserma dei carabinieri di Gravina di Catania, e omicidi contro rappresentanti delle forze di polizia, come Germanà a Trapani». Il collaboratore, poi, ha detto che Santo Mazzei comunicò a tutti che «gli attentati dovevano essere rivendicati dalla Falange armata», ed ha parlato di un incontro che sarebbe avvenuto a Giardini Naxos tra Aldo Ercolano, cugino di Nitto Santapaola e plenipotenziario della cosca, con Marcello Dell’Utri per capire l’origine di alcuni attentati a Catania contro i magazzini Standa, allora di proprietà del gruppo Fininvest. «L’ordine di danneggiare la Standa – ha detto Di Giacomo – partì da Totò Riina per indurre il gruppo commerciale ad attivare contatti con cosa nostra e piegare la Fininvest ai nostri usi». Di Giacomo ha anche parlato di una richiesta degli anni ’80 di Riina ai catanesi di «muoversi contro Rino Nicolosi, ex presidente della Regione, ma che Santapaola, pur non rifiutando apertamente, traccheggiò e non diede seguito a quella richiesta». Per il collaboratore di giustizia, «tutto si ferma, attentati e progetti separatisti, non appena viene annunciata la fondazione di Forza Italia, nuovo soggetto politico. Ma dopo qualche anno l’entusiasmo iniziale cominciò a perdersi perché il famoso “papello” di Riina non ebbe conclusione per la reazione pressante delle forze di polizia dopo gli attentati e le stragi in tutta l’Italia. E se i Graviano ancora non sono pentiti – ha concluso Di Giacomo – è per difendere un patrimonio straripante costruito dal padre e dal nonno, grossi commercianti, che avevano investito a Milano nel settore immobiliare incontrando manager della Fininvest».
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