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I Bonavota da «poveri» al controllo dell'hinterland di Torino
Il pentito Bartolomeo Arena racconta al processo Carminius l’ascesa del clan di Vibo Valentia e i legami con le cosche del Reggino trapiantate in Piemonte. I primi passi nel business delle slot e poi…
Pubblicato il: 05/07/2020 – 9:13
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TORINO Ne è passato di tempo da quando, «negli anni Novanta, i Bonavota erano molto poveri». Questo prima di entrate nel business delle macchinette da gioco installate nei bar e nei ristorante, in un’epoca in cui «non erano monopolizzate dallo Stato». A parlare è il pentito Bartolomeo Arena, sentito dalla Dda di Torino nel processo Carminius, che si concentra sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nella cintura sud di Torino. L’idea di entrare nel mercato delle “macchinette” fu di Pasquale Bonavota, secondo il collaboratore di giustizia. «Con gli appoggi delle famiglie Ursini-Belfiore – spiega Arena davanti ai pm, secondo quanto riporta la Stampa – riuscirono a lavorare». E per loro si aprirono altri campi, come quello della droga. Lo schema riferito dal pentito in aula tratteggia un’espansione continua, grazie all’appoggio di famiglie mafiose come i Marando di Volpiano e gli Spagnolo di Ciminà. Un escalation che porterà i «poveri» Bonavota al controllo mafioso di una ricca area dell’hinterland torinese. Grazie anche ai legami con colletti bianchi che consentiranno loro di ampliare il giro d’affari, entrando nella gestione di discoteche e concessionaria di automobili.
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