REGGIO CALABRIA «Avessero aperto i posti letto a Gioia Tauro e individuato un altro punto nella zona della Locride, la Calabria non sarebbe diventata zona rossa. Ma non hanno fatto niente», dice alla Iena Gaetano Pecoraro un medico calabrese. E mentre passano le immagini della rabbia che si sfoga nella manifestazioni di Cosenza, inizia l’inchiesta nell’inerzia calabrese davanti allo tsunami della pandemia. I fatti sono arcinoti: soldi non spesi, un commissario dimissionato dopo aver mancato l’appuntamento con il Piano Covid, tutti gli interventi previsti saltati o effettuati soltanto in piccola parte.
L’inchiesta delle Iene si concentra sulla provincia di Reggio Calabria, dove – la testimonianza è anonima – «chiunque si prende la febbre e si spaventa, va direttamente al Grande ospedale metropolitano, perché le Usca – che dovrebbero assistere i pazienti meno gravi a domicilio – non ci sono». A Locri i posti letto non sono mai stati attivati, gli ascensori (un grande classico, a prescindere dal Covid) non funzionano mai e non è possibile distinguere i percorsi puliti (quelli dei pazienti non Covid) da quelli sporchi. A Gioia Tauro, le Iene “scoprono” un intero reparto vuoto e nuovo che – è l’ipotesi – avrebbe potuto evitare il lockdown (ma la realtà è più complessa). Tutto inutilizzato, come spiega la guardia medica sentita nel servizio: «Non ci sono i medici che si dovrebbero occupare del Covid, non c’è personale sanitario».
La coincidenza è servita. Nel Piano Covid predisposto con ordinanza, la Regione ha recuperato 40 posti letto proprio nell’ospedale di Gioia Tauro. Qualcuno dice all’inviato che il giorno dopo sarà tutto pronto, ma lui torna e trova gli spazi vuoti. Contatta, così, il direttore sanitario del presidio. Che si dive dimissionaria e rivela che «è tutto fermo in attesa di un’autorizzazione della Regione».
Poi il trasferimento al Gom, dove alcuni problemi confermano la situazione di stallo: la sovrapposizione tra percorsi “sporchi” e “puliti” e, soprattutto, il fatto che i fondi non sono stati spesi. «Arcuri deve appaltare i lavori, noi siamo i soggetti attuatori dei lavori», rispondono i medici. Come accade anche per altre realtà nel Paese, chi sta in trincea spiega che il commissario nazionale non ha ancora “liberato” i fondi del Decreto Rilancio. E così accade che a Reggio 12 nuovi posti letto siano stati ricavati con i soldi della manutenzione interna. «Abbiamo cercato di salvarci da soli», dicono ancora medici e manager. E come se non bastasse, non c’è il personale («abbiamo avuto zero») e i rapporti con la Regione Calabria sono considerati nulli: «Abbiamo scritto tutti i giorni della nostra vita, ma non ci dicono niente, non ci rispondono neanche». All’inviato non resta che un ultimo passaggio alla Cittadella regionale. È un faccia a faccia con il presidente reggente Nino Spirlì. Che completa il percorso dello scaricabarile. «La Regione ha dato tutte le risposte che doveva dare a tutti quanti, ma è esautorata. La responsabilità è del commissario ad acta». E si torna a Domenico Arcuri, in un pericoloso gioco dell’oca che i calabresi osservano impotenti e, adesso, anche impauriti.
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