Bisogna ringraziarli., i quattrocento sindaci della Calabria fasciati dal tricolore, davanti a Montecitorio, uniti da un “grido” composto eppure eloquente, portavoce di un’intera regione poi col presidente del Consiglio Conte. C’era tutta la Calabria, con loro.
Come avrebbe detto Corrado Alvaro erano lì a Roma per incontrare la legge, perché la legge nella loro terra non c’è, e forse non c’è mai stata.
In Calabria non ci sono neppure le istituzioni, o meglio, ci sono come palazzi, edifici pubblici, ma sono occupate in buona misura dal sistema burocratico-affaristico-mafioso. Inutile stupirsi ad ogni arresto, ad ogni inchiesta giudiziaria. Anche quando le accuse – come pure accade – evaporano, non provano che le istituzioni esistono. Il cancro c’è, inutile nasconderlo o farlo passare per un piccolo malanno, come un raffreddore. È così da decenni, in Calabria: l’esercizio di “cadere dal pero” è inutile, per politici, intellettuali, giornalisti, gente comune.
La Calabria è regione “occupata”: è senza libertà, senza democrazia, è esclusa da diritti, pari opportunità, doveri. È a due passi dalla svolta verso uno Stato-Mafia, nonostante l’impegno di forze dell’ordine e magistratura; quella sana, perché a queste latitudini anche l’organo di giurisdizione non si sente tanto bene. Lo dicono i magistrati stessi, e le evidenze di alcune (non poche) inchieste che coinvolgono giudici. Chi è stato inviato [I Commissari] in questa regione sfortunata a vigilare, controllare, risanare, bonificare ha fallito, per inadeguatezza, incapacità, ingenuità (?) e altre cose sulle quali è meglio sorvolare, come quando su una indecenza materiale o metaforica si mette sopra, per coprire le vergogne, il velo pietoso del silenzio. Che fare? Chi è onesto come cittadino schiuma di rabbia in questa regione; anche se se la tiene dentro la sua collera. È abituato così da due secoli di sopraffazioni, ingiustizie, diritti rubati, dignità calpestata, disperazione per impotenza, che somiglia all’infelicità di essere impotenti, di fronte a certe situazioni drammatiche, spaventose come un terremoto vissuto dal vivo e che non finisce mai di scuotere la terra. C’è disperazione in questa regione senza voce, con la politica latitante, autodistrutta, sempre più spesso colta al servizio dell’impianto burocratico mafioso. Il sindacato reagisce, ma non basta. C’è fermento, nel mondo dell’associazionismo, dei movimenti, nella pattuglia, sparuta e sparpagliata, degli intellettuali, degli uomini di cultura. Il difficile è come organizzare e armonizzare queste voci irriducibili, che vogliono ma non possono, anelano, ma non hanno ossigeno sufficiente a dilatare il respiro della speranza. Serve un “Patto”, per cominciare, e questo Patto possono farlo i sindaci, i quattrocento di Roma, andati nella Capitale ad incontrare la “legge” che nei loro territori non c’è. Dicono, loro stessi, che il presidente del Consiglio Conte ha capito qual è il dramma della Calabria, che si è immedesimato, e chissà se finalmente un capo di Governo venuto da fuori della politica non decida di metterci mano in questa anomalia italiana ed europea che si chiama Calabria, ultima e più povera regione del Continente, e con la mafia più potente del mondo. Due primati al contrario entrambi pessimi e insopportabili. Un Patto dei Sindaci, fuori dalle appartenenze partitiche, ma con la coscienza di essere rappresentanti eletti dal popolo, i più vicini al territorio, può aiutare a costruire il futuro. Qualche idea in questo senso c’è, e non bisogna disperderla o vanificarla. Il Patto dei sindaci può riempire il vuoto di una Regione delegittimata, sprofondata nel dramma e nel ridicolo, nel macchiettiamo paesano. Provateci Sindaci. Voi rappresentate tutti, senza se e senza ma. Si vince e si svolta, solo ripartendo dal basso, dal Comune che è la prima istituzione, quella che nel bene e nel male i cittadini si sono sempre visto vicina.
*giornalista
x
x