Rispondendo ad un lettore su “la Repubblica”, nella sua rubrica delle lettere, in merito alla vergognosa scivolata di Morra, diventata caso nazionale, Corrado Augias, pur biasimando il presidente dell’Antimafia, per la sua improvvida uscita, conclude così: «La Calabria però non è una terra normale, è una regione dove la criminalità coincide spesso con la restante società e anche con le istituzioni». Ci sarebbe da offendersi, anche se Augias è persona gentile, colta e usa sempre un linguaggio civile. Il punto è, però, che il pensiero del giornalista scrittore è un “pensiero globale”: dei media, della politica, delle istituzioni. Si può e si deve contestare, quell’idea di Calabria terra “non normale”, ma l’assurdo pregiudizio è antico. La Calabria è normale: è piuttosto un’anomalia italiana ed europea e questo non è un pregiudizio bensì un problema nazionale che non tocca solo ai calabresi spiegare. È sempre stato difficile spiegare che cos’è la Calabria, anche ad un grande scrittore di dimensione e dignità europea, come Corrado Alvaro, che se la cavava con un’affettuosa espressione, in risposta alla domanda che cos’è la Calabria?: «Non lo so – diceva – perché io l’amo». Ancora più difficile è spiegarla oggi che è attraversata dalla fase più delicata della sua storia: col disastro della sanità, le aggressioni della mafia, il dominio del sistema politico affaristico, le istituzioni allo sbando, il malcostume del clientelismo, il record negativo di regione più povera d’Europa.
Ma perché la Calabria è così? Questa domanda pochi se la fanno. Non basta pensare ai cicli storici, o agli avvenimenti positivi o negativi accaduti nei secoli, per poterla spiegare la Calabria, perché la sua è un unicum: è particolare. Se non si comincia ad analizzare ogni cosa, pezzo a pezzo, con scrupolo, partendo da memorie lontane, non si potrà comprendere mai perché la Calabria sia passata da una civiltà (comune a tutto il Mezzogiorno) di cui l’Europa è debitrice, a una situazione di decadimento civile, economico e culturale inarrestabile; fino alla scena finale della commedia dei commissari che vanno e vengono, come i viceré di una colonia. Bisognerebbe analizzare le stagioni che hanno scandito la vita di un popolo che ha una storia di sottomissioni, umiliazioni e rovine; un popolo “esiliato”, a lungo privato della sua libertà, che è elemento fondamentale in una società democratica. Tutt’oggi non c’è libertà in Calabria e la democrazia è a scartamento ridotto, come i binari dei treni che sbuffano nelle periferie abbandonate. La Calabria è un’anomalia (cosa differente dal non essere normale) perché è come se non esistesse: è la vera ultima “isola” italiana, isola d’infelicità, d’incuria e di corruzione, un “sud del sud” che non interessa a nessuno, sempre più tagliato fuori dal resto del Paese, dimenticato, destinato a “zona da scarificare”.
Dimenticato o disprezzato dalla coscienza nazionale, abbandonato da uno Stato che lascia in avamposti, considerati perduti, solo forze dell’ordine e magistrati che sono gli unici a rappresentarlo. Ma come cambiare, nel momento in cui sembra essere rimasta solo l’impotenza della disperazione? La risposta è che cambiare è più facile a dirsi che a farsi, altrimenti dove sarebbe la difficoltà del problema? Quel che è certo è che non si possono cambiare le cose con sistemi e metodi che sono falliti, uno dopo l’altro, né liquidare la questione con l’idea che il problema riguardi solo i calabresi e la loro “anormalità” e dunque il problema è loro. Servono dei patti: patti civici, patti dei sindaci, patti di associazioni, e anche il coinvolgimento fondamentale della Chiesa. C’è l’esigenza della ricerca di strategie mirate, rispetto al gioco di magia del coniglio che esce dal cilindro con i commissariamenti a pioggia, spesso con uomini inadeguati, a volte ridicoli. Serve ricostruire il tessuto connettivo di una presenza dello Stato su cui poi costruire ogni strategia di sviluppo. Anni fa lo storico e meridionalista Sergio Zoppi aveva ravvisato la necessità, specificamente per la Calabria, di istituire un’”Alta Autorità di missione”, che non è un commissariamento, ma una specie di super ministero, in deroga alla legislazione nazionale e regionale, che fosse in grado di raggiungere anzitutto i traguardi di riorganizzazione e risanamento della pubblica amministrazione nell’ultima regione d’Italia; con capacità di controllo su investimenti immediati e massicci, capaci di ridurre il gap Calabria resto d’Italia. Ma prima di tutto tocca ai calabresi scendere in campo, chiedendo più Stato e meno Regione (che è uno dei motivi del disastro e dello scandalo). Per cambiare non è questione politica o ideologica, ma ricerca di uguaglianza e di riconoscimento dei diritti della persona, uguali per tutti, nei territori di una stessa Nazione. È una questione di sopravvivenza non solo per i calabresi ma per l’Italia che , senza il Sud, senza la Calabria, rischia di dissolversi.
*giornalista e scrittore
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