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I NODI DEL MANCATO SVILUPPO

Next generation Calabria, economia libera dal “doping”

Le risorse del Recovery dovranno permettere alla regione di generare un sistema produttivo locale forte. Uscendo dalla logica della ricchezza indotta

Pubblicato il: 13/02/2021 – 20:00
di Roberto De Santo
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Next generation Calabria, economia libera dal “doping”

CATANZARO Non basteranno semplici sussidi per far partire la macchina economica della Calabria. Quelli – anche se nel tempo ridotti per via dello spending review introdotte nella riforma della spesa pubblica italiana – negli anni sono sempre arrivati in qualche modo in questa parte del Paese. Soprattutto dalla sponda di Bruxelles. E non solo. Trasferimenti statali, pensioni, redditi da lavoro dipendente della Pubblica amministrazione rappresentano la quota forte del Prodotto interno lordo della regione.


Per uscire da questa formula di economia “dopata” dalla mano pubblica, e soprattutto battere lo stereotipo di “regione sussidiata”, occorre gestire bene e rapidamente il mare di risorse che giungeranno già dai prossimi mesi in Calabria. Soldi non solo del Recovery o del più complessivo Piano Next generation Ue – ideato dagli strateghi europei per far uscire dalla marginalità le aree più arretrate del Vecchio Continente – ma provenienti dai vari rivoli delle programmazioni nazionali e comunitarie.
La strategia, lo dicono economisti e studi dei principali istituti di analisi, resta quella di creare le condizioni affinché possa attecchire in Calabria un solido e diffuso tessuto produttivo locale.
Al momento troppo debole e sfilacciato per far sì che possa “pesare” realmente sulla svolta di cui l’economia calabrese ha bisogno. Così dopo il via libera del Recovery fund impresso dal Parlamento europeo gli strateghi che saranno ingaggiati dal premier incaricato Mario Draghi – pronto ormai al giuramento e al passaggio in Aula – dovranno costruire una efficace strategia in questa direzione.

Fragilità e dipendenza

Sono i numeri a far comprendere come la struttura produttiva calabrese sia particolarmente fragile sotto il profilo della creazione di ricchezza diffusa. Numeri che delineano un quadro a dir poco disarmante e che indicano la dipendenza da altre componenti: in gran parte esterne alle attività produttive regionali. A partire dell’incidenza, ad esempio del peso dei pensionati sul numero di occupati. La Calabria sotto questo aspetto, ci dice l’Istat, detiene un record nazionale: ci sono 88,1 pensionati ogni 100 lavoratori attivi. Come anche, rimanendo su questo tema, emerge che la Calabria è seconda solo alla Liguria per incidenza del reddito da pensioni sul prodotto interno lordo: 20,84%. Come dire che i nostri genitori o nonni permettono – con le loro pensioni – di tenere in piedi consumi e redditi e conseguentemente l’economia complessiva.
Per chiarire meglio la fragilità del meccanismo di creazione di ricchezza regionale, soccorre il dato riferito alla fonte principale di reddito delle famiglie calabresi. Ebbene sempre dai dati dell’Istituto nazionale di statistica, emerge che pensioni e altri trasferimenti pubblici rappresentano quasi il 43% (per l’esattezza il 42,6%) della fonte principale di sostentamento. Una quota più alta della media nazionale la cui voce si ferma al 38,7%.


E anche sul fronte dei redditi da lavoro dipendente emergono aspetti che qualificano la “dipendenza” della Calabria a fattori esogeni al sistema produttivo locale. Oltre ad avere una quota inferiore nella composizione media della ricchezza della famiglie calabresi – nella nostra regione pesano il 42,1% come principale fonte di reddito delle famiglie contro il 45,1% della media nazionale -, questo è rappresentato da una massa consistente di lavoratori che operano nelle varie diramazione della pubblica amministrazione sia essa nella declinazione periferica della macchina centrale che in quella degli enti locali. In Calabria il personale in forza nelle istituzioni pubbliche, secondo i dati riportati dall’ultimo bollettino Istat, risulta pari a 127.679 cioè il 3,6% del totale italiano.
Secondo le stime, il comparto PA istruzione e sanità genera in Calabria ben il 48% dei redditi da lavoro dipendente, a fronte del 28% del Centro-nord.


Una dipendenza dimostrata anche nella fase della pandemia. La regione ha infatti usufruito a piene mani della finestra di aiuti garantiti dalle misure governative nella fase cruenta dall’epidemia. La Calabria, secondo i dati dell’Inps, nel 2020 è stata quella che ha fatto segnare il record per numero di imprese che hanno chiesto e ottenuto sostegni al reddito per i propri dipendenti. Tra marzo e giugno quasi il 60% delle aziende ha fatto domanda di trattamento di integrazione per i dipendenti. La media italiana, in quello stesso periodo, è stata pari al 54,4%. Il 50,9% dei lavoratori hanno così usufruito del sostegno contro una media italiana del 40,5%. Un’altra faccia della fragilità del sistema produttivo locale messo ancor più a nudo dalla crisi economica innescata dalla pandemia.

Sistema produttivo da rigenerare

Ai dati sulla ricchezza prodotta in Calabria da redditi pubblici, pensioni e altri trasferimenti statali si somma poi un sistema produttivo sbilanciato. La scomposizione del valore aggiunto per attività economica, riportato dai dati di Bankitalia, dimostra, infatti, che appena il 12,2% è costituito dal settore industriale – di cui il 4,6% dal segmento delle costruzioni – e il 4,6% dall’agricoltura. Il resto è rappresentato dalla voce onnicomprensiva del terziario tra cui appunto anche i servizi offerti dalla Pubblica amministrazione. Se nel commercio risiede il 27,1% del valore aggiunto lo si deve anche alla componente dei servizi turistici che sono ricompresi sotto questa voce. Tutti aspetti che dovrebbero spingere a far comprendere la necessità di utilizzare tutte le risorse che arriveranno in Calabria per rigenerare il sistema produttivo.

Si tratta di consentire la nascita di attività locali che attecchiscano sul territorio e che siano in grado di produrre ricchezza reale – non drogata da aiuti – in Calabria e dunque occupazione. In altre parole significa che non dovranno essere utilizzate le prossime risorse – che siano del Recovery o delle altre programmazioni europee (leggasi soprattutto quelle del Por Calabria 2021-27) – seguendo i vecchi percorsi dei contributi finalizzati a sostenere solo la domanda interna, ma piuttosto che dovranno implementare la capacità produttiva del sistema locale.
Per incidere realmente sotto questo profilo occorrerà far leva sull’innalzamento della qualità delle produzioni locali migliorando da un verso il grado di innovazione e dall’altro – che se vogliamo è conseguenziale – imparando a competere realmente nei mercati esteri. Due aspetti che interessano trasversalmente tutti i comparti produttivi locali.
Ma occorrerà anche garantire investimenti pubblici per realizzare quei progetti materiali e immateriali – al momento assenti – che rappresentano le precondizioni di sviluppo per incrementare capacità competitiva del territorio. Non è questione di risorse a disposizione, ma di capacità di immaginare il futuro prossimo della Calabria. Un’esortazione che ci viene anche da Bruxelles e precisamente dalla ratio che sta alla base del Piano Next generation Eu.


Diversamente con un’erosione progressiva e consistente della popolazione soprattutto dei giovani con alto profilo professionale – andamento già registrato da anni dall’Istat che prevede (se il trend dovesse essere confermato) nel 2050 una popolazione ridotta a poco più di un milione e mezzo di cui la gran parte costituita da over 65enni – e la persistenza di un sistema produttivo scarsamente competitivo e basato solo sull’offerta, il rischio non sarà solo quello di compromettere per sempre qualsiasi possibilità di riscatto della regione ma di vederla scivolare ancor più in basso nella marginalizzazione socio-economica complessiva. (r.desanto@corrierecal.it)

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