VIBO VALENTIA «Un sistema drogato con l’immissione di migliaia di titoli, lauree e master falsi, causando un enorme danno per chi partecipava ai concorsi pubblici onestamente». A dirlo è il procuratore di Vibo Valentia, Camillo Falvo, a margine della conferenza stampa dell’operazione “Diacono”, eseguita dai militari del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Vibo Valentia, con l’ausilio di personale dei reparti arma territorialmente competenti e il supporto aereo fornito dall’8° Nucleo Elicotteri Carabinieri e che, questa mattina, ha portato all’arresto di 10 persone, 8 in carcere e due agli arresti domiciliari, per un totale di 23 indagati. Tutti soggetti operanti nel settore dell’Istruzione, circuito Afam e istituti paritari, ritenuti responsabili in concorso, a vario titolo, di associazione a delinquere, corruzione, falso in atti destinati all’autorità giudiziaria, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio e autoriciclaggio. Nel corso dell’attività di esecuzione delle misure cautelari sono state anche poste sotto sequestro con decreto d’urgenza 19 società, operanti nel settore dell’Istruzione, per un valore stimato in circa 7 milioni di euro.
Per Falvo, quello messo in atto dal gruppo criminale, era un vero e proprio «mercimonio della funzione pubblica, con la vendita di migliaia di lauree, diplomi e master e che hanno anche influenzato i concorsi pubblici», forse (il dato è incerto) 20mila titoli dal 2014. «In una intercettazione – spiega Falvo – alcuni di loro discutevano di quanto fossero capaci di immettere sul mercato le false attestazioni e i master, minimizzando tutto al solo costo di una risma». «Le società coinvolte – ha spiegato il procuratore – erano in capo agli indagati e altre persone direttamente riconducibili all’ispettore del Miur e il figlio e servivano per corrispondere il prezzo della corruzione, un po’ come se vendessero caramelle». Tra gli arrestati c’è anche l’ispettore del Miur, Maurizio Piscitelli, nella cui abitazione in Campania sono stati trovati 160mila euro in contanti. Secondo quanto emerso dalla indagini, Piscitelli «aveva il compito di controllare l’istituto Fidia per tentare di dimostrare la legittimità dell’Accademia».
Un’indagine complessa, nata per ricostruire l’attività massonica nel territorio vibonese, per questo motivo ribattezzata “Diacono”, ma che è ha avuto un forte impulso dopo il ritrovamento di un arsenale nel luglio del 2020. L’attività dei carabinieri di Vibo, coordinati dalla Procura guidata da Falvo, è riuscita a sfruttare un lasso di tempo esiguo a causa delle restrizioni legate alla pandemia. «Già dall’inizio – ha spiegato Falvo – ci siamo resi conto che qualcosa non tornava. L’indagine eseguita a ritmi serrati ha fatto emergere una realtà criminale associativa che allo stesso modo trattava armi e diplomi. L’analisi patrimoniale ci ha incuriosito perché erano tutte società con bilanci negativi nonostante le enormi cifre. Abbiamo così sequestrato 19 istituti, sparsi in tutta Italia e ci ha dato contezza della capacità criminale». «Negli uffici dell’accademia Fidia – ha spiegato Falvo – abbiamo anche trovato un disturbatore di frequenze per cercare di eludere le intercettazioni che di fatto non ha funzionato e ci ha consentito invece di ricostruire l’entità del gruppo». «La Fidia è stata la società che ci ha consentito di entrare per capire il meccanismo – spiega il procuratore Camillo Falvo – e tra i tanti reati c’è proprio l’autoriciclaggio che veniva attuato non solo alla famiglia Licata ma da più soggetti che collaboravano alla creazione dei falsi attestati. La più importante è quella del figlio di Piscitelli, Christian, che riusciva a monetizzare la corruzione attraverso la vendita di titoli e CFU». E in una terra come quella Vibonese «ci ha sorpreso – ha proseguito Falvo – come si potessero fare affari proficui senza il coinvolgimento della ‘ndrangheta. In una intercettazione è proprio Licata a vantarsene, dicendo che senza di lui i “cani di mandria” avrebbero fatto pagare loro le estorsioni».
Enorme il giro d’affari ricostruito nel corso delle indagini. Solo questa mattina, infatti, i militari hanno ritrovato 700mila euro tra contanti e titoli. «Uno spaccato terribile – ha detto ancora Falvo – dove i soggetti utilizzavano qualunque metodo illegale. Avevano debiti con lo Stato e trovavano escamotage per non pagare, così come i decreti ingiuntivi. Ci ha colpito la pervicacia». Di particolare rilievo, poi, il legame emerso con il mondo della massoneria, anche grazie al materiale ritrovato a casa di Licata. «Il suo legame con Piscitelli – spiega ancora il procuratore – è nato proprio dalla massoneria», ma su questo aspetto l’attività investigativa prosegue tuttora.
«Tutta questa mole illecita – spiega il colonnello Alessandro Bui – la abbiamo accertata grazie agli uomini e alle donne dei carabinieri, in soli 6 mesi. Una indagine rapidissima e che ci ha permesso di interrompere una grave attività illecita senza limiti portata avanti persone senza alcun ritegno. Il nostro è un modo di rendere giustizia agli enti che fanno formazione seria e che accrescono le qualità professionali e poi abbiamo reso giustizia a migliaia di ragazzi che affrontano i concorsi studiando e preparandosi. Mentre c’è gente che invece non ha alcun titolo per insegnare e che si ritrova nella formazione dei nostri giovani». Infine l’auspicio di Falvo: «Speriamo che la realtà scoperta a Vibo Valentia sia solo una eccezione e non la regola. Ma è evidente che il ministero deve effettuare più controlli».
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