REGGIO CALABRIA «Senza un immediato intervento rischiamo di perdere il controllo di una situazione potenzialmente pericolosa». Il Garante regionale per i diritti dei detenuti, l’avvocato Agostino Siviglia, rilancia il suo appello alle Istituzioni ed autorità competenti per «inserire nel “Piano vaccini regionale per la Calabria”, fra le categorie prioritarie, le persone detenute nei dodici Istituti penitenziari nonché il personale ad altro titolo operante nelle carceri in quanto rientranti tra le categorie a rischio».
Un’omissione, quella della Regione, derivante dal mancato rispetto delle linee guida dettate dall’ex commissario straordinario all’emergenza Covid, Domenico Arcuri, e ribadite dalla neoministro della Giustizia, Marta Cartabia, dopo l’incontro col capo del Dap, Bernardo Petralia. «Oggi – ha dichiarato la Guardasigilli – è urgente che la somministrazione delle vaccinazioni, iniziata in alcune realtà carcerarie già da settimane, prosegua velocemente. Il primo bisogno di chi lavora e vive in carcere è quello di proteggersi contro il virus, che porta malattia nel corpo e genera tensioni, ansie e preoccupazioni nello spirito». Infatti, mentre nel piano della Regione Calabria detenuti e operatori non sono stati inseriti, altre regioni, come ad esempio il Lazio, hanno loro riconosciuto la priorità vaccinale.
L’appello era stato lanciato dal Garante calabrese già lo scorso 22 febbraio, data della missiva indirizzata al presidente facente funzioni Spirlì, al commissario ad acta Guido Longo e a tutti i soggetti competenti. A livello locale, era stato raccolto dal Garante cittadino di Crotone Federico Ferraro per richiamare «l’attenzione istituzionale, in tal senso, come questione di somma urgenza».
Nella stessa missiva, Siviglia evidenziava anche un altro aspetto parimenti importante, chiedendo alla Regione (nella specie all’Asp di Catanzaro) di attivarsi al fine di ultimare l’iter per la messa in funzione della Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) di Girifalco» affinché «possa cessare l’illecita detenzione di soggetti prosciolti in quanto incapaci di intendere e di volere, ma attualmente in carcere per l’assenza di idonee strutture».
«Ho ritenuto – racconta Agostino Siviglia al Corriere della Calabria – sollevare l’attenzione delle autorità ed Istituzioni competenti sulla necessità di inserire tra le categorie ad alto rischio i soggetti privati della libertà personale, come già avvenuto in altre regioni dov’è iniziata la somministrazione dei vaccini». Ad oggi, nel cronoprogramma della Regione sono stati inseriti (solo) gli agenti di polizia penitenziaria, quali organi di pubblica sicurezza, «ma nelle carceri entrano anche docenti, operatori, assistenti sociali e la possibilità di contagio è sempre molto alta. La Regione Calabria avrebbe dovuto agire in conformità alle linee guida del commissario e invece si è completamente dimenticata del sistema penitenziario».
La popolazione carceraria calabrese è divisa in dodici istituti.
In base all’ultimo censimento, risalente al 31 gennaio 2021, in Calabria sono presenti 2.457 detenuti a fronte di una capienza di 2.704 posti. Di questi 58 sono donne e 448 sono cittadini stranieri.
Sono invece 53.329 i detenuti presenti nelle carceri di tutta Italia, a fronte di una capienza regolamentare di 50.551 posti sparsi nei 189 istituti del Paese. Numeri che raccontano, ancora oggi, di un sovraffollamento che dà la dimensione della necessità di scongiurare un’eventuale propagazione del virus anche per sedare eventuali tensioni ed insofferenze rispetto alle ulteriori restrizioni imposte dal periodo. Nei penitenziari della regione «ci sono stati casi sporadici di persone risultate positive, ma asintomatiche, senza rischio di contagio per il resto della popolazione detenuta. Per la quarantena sono stati destinati alcuni spazi “ad hoc” dove le persone vengono isolate e vengono distaccate dal resto della comunità. Solo allorquando il secondo tampone risulta negativo, vengono fatte rientrare in contatto con gli altri detenuti».
“Il primo bisogno di chi lavora e vive in carcere è quello di proteggersi contro il virus, che porta malattia nel corpo e preoccupazioni nello spirito”
Marta cartabia – Ministro della Giustizia
Circa un anno fa le rivolte nelle carceri, scaturite anche a seguito dell’interruzione dei colloqui. «In Calabria, per fortuna, abbiamo avuto solo qualche “battitura” ma non vere e proprie proteste. – racconta il Garante – Nel frattempo l’amministrazione penitenziaria è intervenuta mettendo a disposizione tablet e telefoni cellulari per fare chiamate e colloqui da remoto, così da sopperire all’impossibilità indotta dalle restrizioni. In alcuni casi i colloqui sono ripresi in presenza, ma nella misura più tollerabile possibile e in modo controllato».
Altro tema caldo era stato quello di alcune “scarcerazioni eccellenti” che avevano suscitato molte polemiche innescando un dibattito a tratti dannoso e fuorviante. «Gli interventi operati dalla magistratura di sorveglianza nulla hanno avuto a che vedere col decreto “Cura Italia”, emanato dal precedente governo, come sostenuto da alcuni».
Il nostro ordinamento, infatti, riconosce già di per sé l’obbligo o la facoltà di differire la pena qualora ci siano condizioni di incompatibilità con la detenzione. «In questo senso la pandemia ha influito in relazione al fatto che, laddove qualcuno avesse altre co-morbilità (specificamente indicate nella “famosa” circolare del Dap al tempo guidato da Basentini, ndr) con un eventuale contagio avrebbero potuto risultare letali».
Tuttavia, il vero problema di fondo, dice Siviglia, «è che in questo Paese non c’è una vera volontà di parlare e guardare all’interno del carcere».
«Sono oltre cinquanta, ancora oggi, le persone in lista d’attesa per essere collocate all’interno di strutture idonee alla loro condizione».
Il Garante riporta l’attenzione anche sul tema dell’esecuzione delle “misure di sicurezza” dove l’inerzia delle parti in causa si traduce: nell’immediato, in un abuso nei confronti di soggetti «illegalmente detenuti»; in prospettiva, in un possibile spreco di risorse.
«Nel momento in cui una persona viene prosciolta perché incapace di intendere e di volere – spiega – gli si applica una misura di sicurezza e dev’essere collocata in una Rems, strutture che nel tempo sono andate a sostituire gli ex ospedali psichiatrici».
L’unica struttura simile, in Calabria, gestita dalla cooperativa cosentina “Il Delfino”, si trova a Santa Sofia d’Epiro e conta solo 20 posti (esauriti ormai da qualche anno). «Persone che non dovrebbero stare in carcere rimangono detenute illegalmente perché non ci sono più posti nella Rems».
Per questo motivo, da tempo è stato attivato un lungo iter per riqualificare anche la struttura presente sul territorio comunale di Girifalco, nel Catanzarese, che potrebbe ospitare oltre 40 persone.
Il 9 ottobre 2013 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che prevedeva, tra l’altro, il «programma definitivo per gli interventi» sulle «strutture sanitarie extraospedaliere». Per quella di Girifalco veniva previsto un finanziamento di 5 milioni e 890 mila euro a carico dello Stato. I lavori per la riqualificazione della struttura partono dall’aggiudicazione del 16 settembre 2015, ma vengono nel tempo rallentanti da peripezie giudiziarie e materiali, come il crollo della strada nei pressi del cantiere.
Lo scorso febbraio 2020, in un comunicato, il comitato cittadino “Emergenza sanità”, in prima linea per vedere realizzata ed operativa la struttura, annunciava che, dopo un’interlocuzione positiva, l’Asp del capoluogo aveva indicato fine maggio come data ufficiosa «per il completamento dei lavori, la consegna della struttura e il trasporto degli arredi». Nel frattempo il direttore dell’Ufficio “attività tecniche” finisce coinvolto nell’inchiesta “Cartellino Rosso”. L’evenienza ritarda l’iter, sebbene risulti che alla data del 31 dicembre 2020 la struttura sia stata completata. Di questo, ci dà conferma il sindaco di Girifalco, Pietrantonio Cristofaro: «L’Ufficio tecnico dell’Asp è stato in stand-by, ma a quanto riferitomi, lo scorso 1 marzo è stato individuato il nuovo responsabile. Auspichiamo che si attivino nell’immediatezza. La struttura è completa in ogni sua parte, mancano solo gli arredi. La struttura – sottolinea – è all’avanguardia, un’eccellenza unica in Calabria».
Il problema, piuttosto, sarà quello «di individuare gli operatori che dovrebbero gestire la struttura». «Nell’ultimo incontro avvenuto circa due settimane fa, – dice il sindaco – l’Asp sosteneva di non aver avuto ancora mandato dal commissario a stilare i bandi necessari a procedere a nuove assunzioni». Sempre il sindaco sottolinea che sono diversi gli incontri avuti con l’Asp per cercare di tenere alta l’attenzione sulla questione. «Il nostro ruolo è quello di sollecitare a tutti i livelli sia il commissario sia l’Asp per attivarsi subito per le dovute procedure concorsuali». La richiesta espressa fatta dal Comune al commissario dell’azienda sanitaria e al prefetto è quella di un sopralluogo. «Spero quanto prima di avere un colloquio anche con il commissario Longo così che possa sbloccarsi la situazione e la struttura possa essere attivata».
Di fatti, nella sua missiva formale del 22 febbraio, il Garante elenca gli adempimenti per le autorità competenti, da attuarsi «con urgenza e tempestività»: «bandire la procedura ad evidenza pubblica per l’acquisto degli arredi e delle attrezzature; perfezionare il procedimento di autorizzazione e/o accreditamento della Rems; definire la forma di gestione della struttura stessa (pubblica e/o a gestione privata)».
«È necessario – spiega il Garante – che in regione vi sia un centro capace di ospitare le persone socialmente pericolose a cui è stata applicata una misura di sicurezza. Inoltre, una simile struttura potrebbe diventare un indotto importante perché si può assumere personale sanitario e medico».
E conclude: «Spetta alla Regione Calabria e nello specifico all’Asp assolvere agli adempimenti accantonati. Tale inazione, se perdura, può diventare una grave colpa di scienza e coscienza per chi ha il dovere di agire. La struttura è completa e sono stati spesi molti soldi quindi non c’è più giustificazione per aspettare col rischio di ritrovarci l’ennesima “cattedrale nel deserto”». (redazione@corrierecal.it)
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