La gestione e il buon funzionamento dei consorzi di bonifica della Calabria è divenuto motivo di scontro tra il governo regionale (assessorato competente) e molti amministratori consortili. Lo scontro, lungo ed improduttivo, costerà caro ai calabresi. La mancata sinergia regione-consorzi di bonifica rischia di costituire l’ennesimo blocco del sistema regionale, si pensi solo all’importanza che la politica nazionale ed europea attribuisce allo sviluppo eco-sostenibile a cui i consorzi di bonifica potrebbero contribuire in maniera importante. I costi dello stallo saranno alti per i calabresi, non solo in termini di mancata crescita futura ma anche perché i consorziati dovranno contribuire al versamento dei contributi consortili – già più che raddoppiati negli ultimi 5 anni – e perché si va profilando la probabilità che tutti cittadini calabresi (e non solo i consorziati) dovranno contribuire con il versamento di maggiore Irpef ed Irap per ripianare importanti debiti.
Per comprendere le ragioni dello scontro è necessario fare alcune puntualizzazioni.
La competenza normativa sulla gestione dei consorzi di bonifica è devoluta alle Regioni e la Calabria dal 2003, con la L.R. 11, si è data un buon corpo normativo. La norma quadro regionale sui consorzi di bonifica oggi è carente però, a parere di chi scrive, in materia di contabilità, principi contabili e bilanci dei consorzi di bonifica. La mancanza di regole, certe e condivise, nel gestire, aggregare e rappresentare i fatti gestionali, unitamente ai grandi numeri dei trasferimenti diretti di finanza pubblica determinano sempre scompensi, che in Calabria purtroppo assumono spesso dimensioni drammatiche. D’altro canto, la stessa legge attribuisce alla giunta regionale così tanti poteri di controllo, di vigilanza e di indirizzo (fino al commissariamento dei consorzi stessi) che non dovrebbe esistere uno scontro con gli enti sussidiari, ai quali la stessa norma «riconosce il prevalente ruolo sul territorio ai fini della progettazione, realizzazione e gestione delle opere di bonifica e di irrigazione, nonché degli interventi di tutela ambientale». È proprio utilizzando questa norma che in Calabria i consorzi di bonifica gestiscono parte di quella che oggi possiamo definire la “variante forestazione”, con trasferimenti mensili diretti per decine di milioni di euro. Ciò premesso sottende una logica domanda sui motivi del contendere: mancano gli indirizzi ed i controlli regionali oppure gli amministratori consortili non seguono gli indirizzi che la regione fornisce? Da quello che si legge dalla stampa, l’assessore regionale all’Agricoltura sembra propendere per la seconda ipotesi, al contrario il presidente della commissione regionale Agricoltura (della stessa maggioranza) e molti amministratori consortili caldeggiano la prima ipotesi, mentre organizzazioni di categoria agricole chiedono una “operazione verità”. Nello stallo che dura ormai anni, proviamo a dare qualche informazione che possa contribuire all’operazione verità, iniziando con l’evidenziare che in mezzo allo scontro in atto c’è una differenza di “vedute e di indirizzi gestionali” che sembrerebbe “galleggiare” sui 50 milioni di euro (a meno di smentite), con chiara tendenza alla lievitazione. Almeno a tanto ammonterebbe il credito che i consorzi dicono di vantare dalla regione. A quanto pare però la Regione nega l’esistenza di detti crediti, di cui non ci sarebbe traccia nei propri bilanci. Le cifre sono così alte da fare tremare i polsi a qualunque amministratore regionale ed a qualunque amministratore consortile, soprattutto se si considera che il maggiore debito dei consorzi di bonifica è verso la retribuzione del personale dipendente, verso l’Inps per gli oneri contributivi correnti e pregressi e verso il fisco per l’Irap: dunque siamo di fronte a debiti certi e granitici coperti da crediti non riconosciuti dal maggiore debitore? Certo, non è solo questo il problema dei consorzi calabresi, in mezzo ci sono progettazione, esecuzione e gestione di importanti opere pubbliche (anche dighe), la gestione dei tributi consortili e di una parte importante della risorsa acqua della nostra regione (quella d’irrigazione), oltre che ragioni di sostenibilità delle organizzazioni consortili. Tuttavia come negare che lo squilibrio finanziario è una parte importante delle quotidiane difficoltà consortili, fa mancare il respiro alla gestione quotidiana e senza ossigeno si ragiona poco e male. Continuando così la conseguenza sarà la sicura crescita del debito con l’effetto di necrotizzare ogni attività consortile. In verità, se le cose stanno così i rimedi stanno tanto nel buon senso degli attori quanto nella legislazione italiana la quale imporrebbe decisi ed energici interventi per evitare che il tumore esploda in metastasi e che il problema continui ad ingigantirsi. Sarebbe prioritariamente necessario fare chiarezza normativa (e non di prassi) nella contabilità, nell’applicazione dei principi contabili e nei bilanci dei consorzi di bonifica calabresi, in modo da avere univocità di vedute fra consorzi, fra questi e la regione – ente vigilante – e con chiunque ne abbia interesse. Questo percorso è avvenuto nelle banche, nelle società private, negli enti pubblici e negli enti partecipati, particolarmente negli ultimi 10 anni, almeno a tanto ammonta il ritardo d’intervento normativo e di vigilanza. A quanto ammonta invece il ritardo con cui la comunità consortile calabrese ha voluto eludere il problema, questo è tutto da verificare.
Sarà necessario tornare su questo argomento, ancora ed ancora, non è più possibile mettere la polvere sotto il tappeto: il rischio è di fare – anche in questo comparto – la fine della sanità.
* Commercialista e revisore, già direttore generale Consorzio di bonifica
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