LAMEZIA TERME “I Mancuso avevano un sacco di ‘ndrine distaccate in giro per l’Italia, addirittura una si diceva che fosse in Africa, a Capo Verde, per il traffico di droga”. Quarta udienza, nel processo “Rinascita-Scott” per il collaboratore di giustizia Raffaele Moscato, un tempo esponente di spicco e killer della cosca dei Piscopisani di Vibo Valentia. Nel corso dell’esame condotto dal sostituto procuratore Annamaria Frustaci, il collaboratore risponde sui rapporti di alleanza della cosca Mancuso fuori dalla provincia di Vibo Valentia. Moscato racconta di avere conosciuto in carcere a Frosinone, nel 2013, Paolo Lentini, esponente di spicco del clan Arena di Isola Capo Rizzuto. Con Lentini, Moscato stringe un rapporto, tanto che, racconta in udienza, sarà lo stesso Lentini a conferirgli le doti di Santa e Vangelo in carcere. “La cosca Arena era una cosca che aveva alleanze dapertutto”, dice Moscato che elenca tra le famiglie alleate col gruppo di Isola, oltre ai Mancuso, anche i Pelle del gruppo di Antonio Pelle “Gambazza” e i Mazzagatti.
Si narra negli ambienti criminali che Nicolino Grande Aracri, a capo della provincia criminale crotonese, volesse sparire una parte delle estorsioni del territorio catanzarese col boss Luigi Mancuso il quale avrebbe rifiutato l’offerta. La proposta sarebbe stata fatta da Grande Aracri a Mancuso nella sezione Aev del carcere di Siano, dove erano detenuti insieme. Questo particolare Raffaele Moscato racconta di averlo appreso da Francesco Antonio Pardea il quale aveva condiviso la detenzione con Vito Martino, esponente dei Grande Aracri.
Per quanto riguarda i rapporti dei Mancuso con le altre realtà criminali, Moscato racconta che venne fatta una raccolta fondi per Franco Coco Trovato di Milano. “I De Stefano di Reggio Calabria e gli Arena di Isola Capo Rizzuto avevano buoni rapporti con Franco Coco Trovato e, racconta Paolo Lentini, che quando il figlio scendeva a Catanzaro queste cosche facevano una colletta per mandarla a suo padre che era detenuto al 41 bis da molti anni. Non ricordo se di mezzo c’erano anche i Mancuso perché avevano buoni rapporti con Franco Coco Trovato”.
Della faida tra i Mancuso e i Piscopisani si sapeva negli ambienti criminali. Lo stesso vertice dei Piscopisani, Rosario Battaglia, ne aveva parlato con Ernesto Grande Aracri, fratello di Nicolino Grande Aracri. Ernesto Grande Aracri aveva avvicinato Rosario Battaglia per dirgli che avrebbe mandato direttamente la ‘mbasciata a Pantaleone Mancuso “Scarpuni” col quale erano in ottimi rapporti e si sarebbe preso la responsabilità di parlare con Mancuso per fermare la faida.
“Il gruppo dei Tripodi-Mantino di Porto Salvo aveva legami con Michele Cosimo Mancuso. Rapporti criminali nati a fine anni ’80.” Nicola Tripodi ha battezzato la prima figlia di Michele Cosimo Mancuso e Fortunato Mantina ha battezzato Michele, l’altro figlio di Michele Cosimo Mancuso”. I Tripodi avevano poi rapporti di contrasto con Pantaleone Mancuso “Scarpuni” “in quanto i Tripodi e i Piscopisani erano una cosa sola, un’unica cosca. I Tripodi mandavano ‘mbasciate sulle estorsioni ai Piscopisani. A Raffaele Moscato avevano chiesto di non toccare il titolare di un negozio della catena Acqua&Sapone perché era una persona che andava a denunciare poiché ci avevano provato a fargli l’estorsione anche i Tripodi e sapevano che l’imprenditore reagiva. “I Tripodi – racconta Moscato – non facevano estorsioni da 500 euro ma prediligevano i lavori grossi, come lavori per strade, palazzi. O prendevano direttamente loro il lavoro, con propri mezzi e operai, o prendevano l’estorsione. Giorni prima del mio arresto, nel 2013, a casa di Tripodi con Salvatore Vita abbiamo parlato di un’estorsione già chiusa, grande, sul porto di Vibo Marina che doveva costruirlo l’imprenditore Francesco Cascasi (che Moscato riconosce anche in foto, ndr)”.
“Sapevamo che nel bar Tony di Nicotera erano intercettati. Prima di Natale 2012 ci aveva portato una pennetta con dei fascicoli, perché dovevano fare degli arresti, l’imprenditore di Maierato Daniele Prestanicola, una persona vicinissima al clan Tripodi che ha un cementificio a Maierato. Quando Davide Fortuna o Rosario Battaglia hanno costruito la casa il cemento non si pagava mai perché Prestanicola era vicinissimo a noi”. “In questa pennetta c’era anche l’autopsia di Francesco Scrugli. Noi la pennetta, dove c’erano anche delle intercettazioni, l’abbiamo utilizzata poco e niente, solo per guardare l’autopsia e guardare poche cose perché dopo un mesetto ci hanno arrestato”, racconta Moscato. “Quello che interessava realmente ai Piscopisani era scoprire chi ci aveva tradito perché all’epoca si incolpava Nazzareno Fiorillo di andare da Pantaleone Mancuso e dai Patania per mettersi a posto, a livello della faida, perché non lo dovevano toccare. E questo noi cercavamo di scoprire. Noi sapevamo dell’esistenza di queste intercettazioni al bar Tony ma non abbiamo fatto in tempo a conoscere i contenuti. Sapevano che quando gli fanno l’arresto a Pantaleone Mancuso non lo trovano perché lo sapeva pure lui. Sapevamo che dovevano fare gli arresti per l’omicidio Matina e di Mario Fiorillo”.
Il collaboratore ha ribadito, nel corso dell’udienza, anche circa le attività a Roma di Saverio Razionale, della piccola impresa edile nella capitale, del bar con night club. “Si sapeva che Saverio Razionale aveva rapporti a livello del Vaticano. Con Rosario Battaglia e Pardea si parlava che era arrivato ad avere dei blocchetti degli assegni e un conto in Vaticano”.
Sono centinaia le fotografie che oggi sono state sottoposte all’attenzione di Raffaele Moscato. Moscato ha riconosciuto boss, affiliati, imprenditori. Tra le foto vi è quella di un uomo in divisa da carabiniere. Moscato non ne ricorda il nome ma è sicura sulla figura: “E’ il carabiniere che ci dava informazioni sulle questioni cautelari. Ricordo che dava informazioni a Rosario Battaglia. In una occasione lo abbiamo incontrato in una paninoteca con moglie e figli. Rosario Battaglia gli offrì la cena. Lui ci disse che ci sarebbe stata un’operazione antidroga e il primo a essere arrestato sarei stato io. Sull’omicidio Patania ci disse che eravamo indagati io e Battaglia”. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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