LAMEZIA TERME Saracinesche abbassate, poche auto in circolazione ed una profonda sensazione di desolazione seguita dallo sconforto per le sorti economiche della Calabria, rientrata nella “zona rossa” almeno fino al prossimo 6 aprile.
Ma ci sono interi quartieri che appaiono come “zone franche”. Succede a Lamezia Terme, a Sant’Eufemia, dove il numero delle serrande abbassate e dei negozi chiusi è decisamente più basso che altrove, con un’incidenza quasi irrilevante rispetto alla “normalità”, fatta eccezione per bar e ristoranti che hanno preferito chiudere per tutto il giorno piuttosto che aprire per poche ore. A Sant’Eufemia, quartiere di confine di Lamezia e snodo cruciale per gli arrivi dalla stazione ferroviaria e dall’aeroporto internazionale, i numerosi esercizi commerciali gestiti da cinesi infatti continuano a lavorare senza sosta. Luci abbassate, certo, ma serrande alzate in attesa di clienti. Scene di ordinaria quotidianità perché qui, i negozi cinesi – annunciati dalle lanterne rosse – si sono triplicati nel corso degli ultimi dieci anni a discapito del commercio indigeno e non solo.
Si tratta di esercizi commerciali rimasti aperti (seppure in zona rossa) perché all’ingrosso, ma che tuttavia consentono a chiunque voglia entrare di fare acquisti, anche se sprovvisti di partita Iva, senza alcun divieto. Beni di prima necessità, così come prodotti di elettronica e informatica. Tutto è in vendita e pare che la crisi legata anche all’emergenza Covid penalizzi solo gli altri esercizi commerciali (ristoratori e bar su tutti) ai quali non è rimasto altro che chiudere, incrociare le dita in attesa dei ristori, sperando in tempi migliori.
Forse sarebbe il caso di effettuare qualche controllo per garantire il rispetto delle regole da parte di tutti. Ed evitare che a pagare (un prezzo salato) siano solo i calabresi.
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